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DO-Ò-RRE E L'IRREALE IN MUSICA

Spunti e riflessioni sulla (ancora) attuale didattica musicale

di Bruno Benvenutobruben@inwind.it

Non devi insegnare musica;

devi essere musica!

(Edwin E. Gordon)


Dal mio ingresso in Conservatorio come studente, dopo un prolungato apprendistato di tipo istintivo/imitativo, pur animato dall'entusiasmo per la scelta dell'indirizzo di studi effettuata ho avvertito subito il disagio per la modalità di approccio alla pratica musicale. Anni dopo, da docente, ho ricevuto ulteriore conferma di quanto gli aspetti sostanziali dello studio e il conseguente approfondimento della musica fossero avulsi dalla realtà e destituiti di fondamento.


Ho potuto cioè constatare come la massima istituzione musicale nel nostro Paese non tolleri la creatività, la partecipazione emotiva, il coinvolgimento corporeo; non richieda da parte dello studente la consapevolezza di tutto quanto passi per la sua mente prima ancora che il suo pensiero si trasformi in suono. Di contro indugia ancora nella divulgazione di una teoria fondata sul dogma, su realtà imprescindibili da cui poter ricavare la “definizione”, introduzione all'ignoranza, sulla rigida fissazione nella memoria di dati “esatti”, perché formulati nei manuali in uso nei Conservatori, da evocare al momento dell'esame, perché l'esito possa aspirare ad un risultato numericamente positivo.


Di contro indugia ancora nella pratica del “solfeggio parlato”, nell'armonizzazione fondata sui numeretti da contare sulle dita, nel ricordo di autori ed opere mai ascoltati da riferire in un esame di storia. Di contro indugia ancora sul rapporto di “dipendenza” assoluta dallo spartito nel modo di suonare e nello sforzo teso al rispetto pedissequo di tutto quanto in esso sia codificato, come se da ciò potesse derivare qualcosa di vitale e di realmente comunicativo.


“Stiamo educando le persone escludendole dalla loro capacità creativa. Picasso una volta disse che tutti i bambini nascono artisti. Il problema è rimanerlo anche da adulti. Io sono convinto che non diventiamo creativi, ma che disimpariamo ad esserlo. O piuttosto, ci insegnano a non esserlo (Ken Robinson).


Da dieci anni e più assistiamo a trasformazioni della nostra istituzione di tipo ordinamentale, strutturale, sostanziale nella gestione e nella distribuzione temporale degli studi musicali.

Ma non voglio impantanarmi nello sterile confronto tra vecchio e nuovo ordinamento, nel caos che avvolge e stritola tutti i Conservatori italiani nel nostalgico quanto anacronistico mantenimento del vecchio ordinamento, nella convivenza di corsi pre-accademici e accademici nello stesso istituto….


Quanto desidero invece rilevare è che il sistema didattico ancora oggi in uso nei Conservatori di musica è semplicemente aberrante, rappresenta cioè la deviazione dal percorso naturale, quello di una forma di comunicazione non verbale basata sull'ascolto e non sulla vista, sulla consapevolezza e non sulla mera decodifica, sul “pensare in musica” piuttosto che sull'assorbimento passivo di dogmi, di segni e pratiche artigianali che si traducono in un mondo sonoro aperto alla noia ed al repentino decadimento dell'attenzione.


Ne riporto un esempio: nei programmi di studio ed esami enunciati nel R.D. 1945 del 1930, ed ancora in uso nel “vecchio ordinamento”, lo studio del ritmo, attraverso il solfeggio parlato, era confinato ai primi tre anni di corso e si esauriva in quelli.


Analogamente l'allenamento alla percezione uditiva, paradossalmente limitata al solfeggio cantato (con notevole sforzo interpretativo) e al dettato melodico, era previsto soltanto nei primi tre anni di corso: tutti gli studi conseguenti, compresi quelli di armonia, non contemplavano minimamente lo sviluppo della percezione uditiva, della memoria, della graduale conquista della consapevolezza nel “fare musica”.


Evidentemente gli anni successivi di studio erano diretti all'affinamento della decodifica visiva, dell'analisi – sempre condotta attraverso la vista -, dell'agilità e della perfezione tecnica sullo strumento, artigianalmente intesa. Il D.M. n° 483 del 2008 finalmente inserisce nei campi disciplinari l'Ear Training, sopprime il termine “solfeggio” nella descrizione dei corsi di ritmica, parla di “intonazione”. Ma il tutto nell'ambito della “formazione di base”.


Nel vecchio come nel nuovo ordinamento l'informazione didattica continua ad essere deviata e fuorviante. Il ritmo, l'intonazione (intesa come ascolto interiore), l'allenamento alla percezione, non solo accompagnano di fatto l'intera vita del musicista, ma non possono essere confinati nella fase di alfabetizzazione o di apprendimento “di base”.


Lontano da triti e falsi luoghi comuni che presentano il ritmo come l'elemento primordiale della musica, e senza dover ricorrere ad esempi tratti da etnie lontane dalla nostra cultura, musicisti europei come Varése, Messiaen, Stockhausen, Boulez, Xenakis, Ligeti, possono ricordarci che la musica può vivere di solo ritmo, ma che il solo approccio alle loro opere non può svolgersi nei primi tre anni di corso o all'interno di una “formazione di base”!


Scriveva Roberto Goitre nel 1972: “In Italia, oltre le varie ragioni storiche, sociali, ambientali che hanno influito e tuttora influiscono negativamente sulla diffusione del canto a livello di massa, si tramandarono tali errori e malintesi nell'insegnamento della musica da ridurre il nostro Paese, un tempo culla della polifonia vocale, alla retroguardia della civiltà musicale nel mondo. Errori che continuano a ripetersi con l'avallo dei programmi ministeriali nelle scuole di ogni livello e, per indolenza o inadeguata preparazione dei maestri e per mancanza di metodi, in gran parte dei cori amatoriali italiani. Il primo errore è l'insegnamento del canto per imitazione, che impigrisce la mente, non educa il gusto, non rende partecipe il discente, non migliora lo spirito, limita il repertorio, rende approssimativa l'esecuzione… A rendere più arido e poco attraente lo studio della musica si aggiungono l'imposizione dell'insegnamento teorico, come è inteso dai programmi ministeriali, avulso dalla pratica musicale, e quell'amena quanto inutile assurdità che è il solfeggio parlato.”


“Si deve avere il coraggio di ripristinare l'antico «Corso fondamentale» e comprendere in esso tutto l'arco dello sviluppo delle conoscenze teoriche, ritmiche, auditive, armoniche e di cultura musicale di cui deve materiarsi la preparazione di uno studente di musica, riunendo quelli che attualmente sono gli sterili tronconi dei corsi di Solfeggio e di Cultura musicale generale in un unico e ben coordinato Corso”

(Argenzio Jorio – presentazione a Il Dettato armonico (1983) di Bruno Benvenuto)