All'alba del giorno di Ferragosto ci ha lasciato Domenico Ascione, un artista ed un uomo dalle qualità uniche ed inimitabili , e, per me, l'amico più caro ed intimo.Parlerò prima dell'artista, perché tale era Mimmo.
Definirlo semplicemente chitarrista o musicista mi sembra riduttivo. La musica era il suo ambito espressivo, la chitarra l'amato strumento ma attraverso questi mezzi esprimeva la ricchezza dei suoi sentimenti, il suo sguardo appassionato sulla vita, la sua bontà, la sua allegria e la sua malinconia, il suo essere (uso un termine abusato ma giusto per lui) così solare. Prestissimo chi collaborava con lui, chi studiava o suonava con lui si accorgerà del vuoto enorme ed incolmabile che ha lasciato.
Nonostante le difficoltà del nostro lavoro che anche lui, pur da sempre dotato di straordinario talento, ha avuto, ha sempre mantenuto un approccio gioioso, ha sempre conservato quello stupore dell'inizio, come scrive Rilke: “Non posso immaginare che una sola beatitudine, questa: essere colui che inizia”.
Grande bravura ma accompagnata da grande umiltà . Le cose più difficili diventavano semplici nelle sue mani. Sempre la stessa ansia creativa, l'agitazione, la trepidazione prima di ogni concerto, l'emozione, il naso che colava, sia che si trattasse di un grande teatro che di un piccolo paesino.
Difficoltà ci sono state ripeto, perché la sua bravura ed il suo talento avrebbero meritato ben altri riconoscimenti che solo la grettezza, l'invidia, la mediocrità del nostro ambiente gli hanno negato.
Nonostante questo, e tutto con le sue mani e con merito, si è costruito una carriera costellata di soddisfazioni e di una impareggiabile fantasia e creatività.
Cercherò di ricordare i momenti salienti del suo gigantesco lavoro. Trentacinque anni di insegnamento passando dalle scuole medie a quelle ad indirizzo musicale alle magistrali e poi ai conservatori di Foggia, Latina e Roma.
Ha formato quattro generazioni di chitarristi molti dei quali sono oggi, a loro volta, apprezzati concertisti e didatti. Una attività solistica di primissimo piano che lo ha contraddistinto senza dubbio come uno dei migliori interpreti italiani.
Voglio qui ricordare le memorabili esecuzioni dell'opera intera di Heitor Villa-Lobos, la sua perfetta interpretazione di Suoni notturni di Petrassi, gli innumerevoli programmi diversi proposti, i concerti con le orchestre fino agli ultimi con il quartetto d'archi di S. Cecilia con un programma di raro impegno virtuosistico e musicale.
Il pregevolissimo duo, per oltre trent'anni, con Romolo Balzani che rimarrà un modello per chiunque voglia avvicinarsi alla musica ed al repertorio per flauto e chitarra.
Passando alla musica popolare, ha fondato e diretto il gruppo Mishmash oggi uno dei più conosciuti ed affermati nell'ambito della musica etnica,poi il duo con Evelina Meghnagi con la quale ha dato vita ad un lungo ed importante sodalizio artistico.
Per il teatro la collaborazione con Massimo Wertmuller e, prima, con Giorgio Albertazzi nelle Memorie di Adriano, tourneè cui partecipai anch'io e che conservo come uno dei momenti più belli della mia vita insieme a lui. Ricordiamo poi la lunga collaborazione con il Teatro dell'opera di Roma.
E poi tante master-class, una infinità di collaborazioni, composizioni, rielaborazioni, arrangiamenti, trascrizioni che sarebbe impossibile elencare e delle quali neanche lui spesso si ricordava talmente era proteso verso il futuro, verso quello che doveva ancora venire. Io poi, perdo l'amicizia più importante della mia vita.
Per me è stato un esempio, un punto di riferimento costante.
Il mio primo pensiero in ogni situazione era: lo debbo dire a Mimmo, lo debbo chiedere a Mimmo, lo debbo raccontare a Mimmo.
E' stato sempre un passo avanti a me, mi ha illuminato, consigliato, stimolato. Ricordo sempre che se non fosse stato per lui oggi non insegnerei in conservatorio perché fu lui che mi costrinse a fare insieme la domanda per il concorso che poi avremmo entrambi superato.
Ci siamo voluti bene per quarant'anni ed io sono sicuro che se fosse al mio posto proverebbe lo stesso mio dolore. Certo ci sono stati alti e bassi, qualche incomprensione, su molte cose avevamo idee diverse, ma, come è scritto nel Corano: “è l'amico che si rimprovera”.
Nella nostra diversità ci completavamo, io ammiravo la sua facilità e spontaneità nel suonare lui la mia capacità di esprimere con le parole i sentimenti più profondi. Lui sempre paziente, accomodante, buono, socievole, io scontroso, orgoglioso, solitario, polemico.
Questa è stata la nostra vita, non riesco a pensare ad un solo periodo senza associarlo a lui e non riesco a proprio a pensare al futuro ora che lui non c'è più.
Caro Mimmo ti chiedo perdono se in qualche momento non ti ho capito, non ti ho ascoltato, non ti ho aiutato, non ti ho seguito.
Con la tua sofferenza e la tua morte mi hai lasciato questa lezione: le persone che amiamo non le amiamo mai abbastanza.
F.F.