A cura di Flavio Cucchi
Recentemente nel corso di una Masterclass al Conservatorio di Reggio Emilia alcuni studenti molto talentuosi mi hanno chiesto consigli su come crearsi una carriera concertistica.
Mi sono reso conto di non essere in grado di aiutarli come avrei voluto per un motivo concreto: la scena musicale è cambiata così tanto dai tempi in cui io cercavo di emergere, che quello che funzionava allora non solo oggi non funziona, ma non esiste più.
Ho pensato quindi di proporre quattro domande su questo tema a 4 chitarristi affermati, molto diversi fra loro, nel tentativo di offrire qualche spunto ai giovani per orientarsi nel cosiddetto mercato della musica.
I quattro musicisti che ho invitato non hanno bisogno di presentazione, vorrei annotare solo le caratteristiche che li contraddistinguono (in ordine alfabetico):
Elena Casoli, la chitarrista italiana più esperta e quotata nel campo della musica contemporanea
Lucio Matarazzo, Concertista e didatta, fondatore del Webmagazine DotGuitar.it, della collana discografica DotGuitar/CD e creatore di moltissime attività legate alla chitarra e al suo repertorio
Claudio Piastra, vanta una lunga e fiorente attività internazionale solistica ma sopratutto cameristica con formazioni diverse (non chitarristi), oltre che una importante esperienza come direttore artistico di festival e istituzioni musicali
Giulio Tampalini, vincitore di prestigiosi concorsi, dalla carriera concertistica mondiale e una imponente discografia, molto presente nella vita chitarristica italiana.
Ho voluto poi aggiungere il pensiero di Carlotta Dalia, la giovane emergente indicata da Lucio Matarazzo nel suo intervento.
Per finire ho interpellato un grande della storia del nostro strumento, il più celebre chitarrista italiano della prima generazione dopo Segovia: Oscar Ghiglia, che ha scritto una interessante e originale sintesi sulle strade percorribili da chi vuole intraprendere la carriera concertistica.
1) Come entrare in carriera?
FLAVIO CUCCHI
Negli anni ’70 la chitarra classica era uno strumento di moda, i compositori la inserivano nelle loro opere (Petrassi, Berio, Henze, Bussotti, Donatoni, per citarne solo alcuni) e le stagioni cameristiche la ospitavano volentieri, sia da sola, sia inserita in gruppi da camera.
Ricordo che all’epoca nascevano i festival chitarristici e io tendevo a snobbarli: mi sembravano un po’ restrittivi, fuori dal mainstream e un po’ folkloristici come i campionati mondiali di fisarmonica.
Pensavo: perché suonare per un piccolo pubblico di chitarristi, magari un po’ fissati, quando si può avere il vasto e colto pubblico della musica da camera?
In passato c’erano anche i concorsi, ma erano così pochi, (in Italia Alessandria, Gargnano, Roma) che bastava classificarsi nei primi tre in uno di questi per avere una immediata notorietà nell’ambiente.
In questi 50 anni ho visto la situazione della chitarra classica cambiare radicalmente: oggi, a parte rare eccezioni, i festival chitarristici sembrano essere gli unici spazi rimasti in cui un chitarrista ha la possibilità di farsi ascoltare, i concorsi sono moltiplicati a dismisura e alcuni giovani, paradossalmente, fanno più concorsi che concerti, considerandoli l’unico modo per emergere, ma è proprio così? Ci sono altre strade?
ELENA CASOLI
È importante che ognuno di noi, e ancor più un giovane chitarrista, abbia un'idea chiara di che tipo di musicista e performer vuole essere e in che ambito vuole fare musica. Un'idea che può modificarsi nel tempo, ma sempre con obiettivi chiari a breve e lungo termine. Anche con i miei studenti all'Hochschule di Berna si cerca di dare una direzione. Più l'idea è chiara ed efficace, più il risultato sarà di qualità. Più ci mette in collaborazione con altri musicisti -anche con generi musicali diversi- e più si apriranno prospettive future. In questo senso, l'attività solistica può essere sempre accompagnata dalla musica da camera oppure da un interesse nell'ambito della Nuova Musica in collaborazione con giovani compositori e ensemble. Per chi ama la competizione, i concorsi possono essere un'opportunità, che non può essere fine a sé stessa, ma volta a sviluppare una vera attività concertistica. È da ricordare che non esistono solo i concorsi chitarristici, ma anche concorsi che mettono a confronto musicisti diversi in contesti molto interessanti e di qualità. Essere versatili tra chitarra classica, acustica, elettrica ed altri strumenti a pizzico può anche aprire nuove possibilità concertistiche sia come solisti che in collaborazioni varie con ensemble e orchestre.
LUCIO MATARAZZO
Come tu hai giustamente detto, il mondo musicale, ma anche il mondo in generale, è totalmente cambiato da quando noi abbiamo iniziato la nostra attività, oramai quasi mezzo secolo fa.
Per dirla in modo semplice, si era tutti di meno. C’erano meno chitarristi (e meno grandi nomi), meno concorsi, meno festival, meno dischi, meno di tutto, per cui vincere un importante concorso internazionale segnava quasi sempre realmente l’inizio di una grande carriera.
Oggi non è più così ed essendosi “parcellizzato” ogni ambito, è purtroppo diventato indispensabile sapersi creare un’immagine pubblica di notorietà a cui concorrono molti fattori, tutti forse egualmente importanti ma allo stesso tempo singolarmente non indispensabili.
Ma sempre più spesso l’elemento della qualità, che non è solo quello del saper suonare ma anche quello delle proposte di programmi e repertori, rischia di diventare sempre più secondario rispetto ad altri.
Ho conosciuto chitarristi che di professione fanno proprio i concorsisti. Non ci sarebbe nulla di male se non fosse che coloro che partecipano a tanti concorsi - moltissimi, per non dire tutti - sono costretti, dalla precisione estrema che oggi spesso viene richiesta in queste competizioni, a suonare un repertorio che dire ristretto è poco. Ce ne sono alcuni che addirittura suonano la stessa decina di brani per più di un decennio. Se a questo aggiungiamo il fatto che oggi l’età media dei partecipanti a queste competizioni si è abbassata tantissimo, coincidendo spesso con quella della formazione, si creano delle grandissime storture, la prima delle quali è l’assoluta ignoranza nella conoscenza del repertorio.
Questo determina una vera e propria regressione culturale che poi si esplicita in programmi di concerti grandemente simili e, in ultima analisi, in una massificazione - in negativo - dell’interesse verso la scoperta e la ricerca di nuovi repertori e nuovi linguaggi.
Non riesco a immaginare oggi figure di interpreti che incidono sul repertorio come in passato hanno fatto artisti come Segovia, Bream o anche Yepes, facendo accrescere il repertorio chitarristico con brani scritti per loro da grandi compositori.
È una vera e propria rarità, per non dire un’eccezione, trovare nei concorsi qualche giovane che suoni musiche degli autori che tu hai citato.
Per questo, come ho detto sopra, credo che saper “dosare” le proprie energie cercando di bilanciarle in ogni ambito, sia l’arma vincente per impostare una carriera, oggi.
CLAUDIO PIASTRA
Condivido il panorama è molto cambiato. È molto difficile dare consigli perché ci sono molte varianti sui percorsi artistici-professionali che spesso possono realizzarsi se uniti alla capacità di farsi trovare pronti quando la fortuna, gli incontri o le conoscenze ti fanno trovare nel posto giusto al momento giusto. Dando per scontato il talento credo che sia, ancora di più oggi, indispensabile una formazione impeccabile e il più possibile estesa sia musicalmente che culturalmente.
Consiglio ai giovani di trovare dei buoni Maestri intendendo non solo la qualità didattica ma anche la disponibilità per guidarli ad intraprendere una professione. Questo è il limite attuale dei Conservatori italiani, in certe istituzioni straniere non è così, una volta terminati gli studi accademici si chiudono le porte e non sono previste figure di riferimento per questo fondamentale aspetto. Studiare poi con un Maestro che frequenta il mondo musicale esterno e magari anche le commissioni di concorso può essere molto utile. Attenzione parlando di concorsi non intendo nel senso di favoritismo, che pure a volte esiste, ma della conoscenza ed esperienza che questi Maestri hanno per poter aiutare ed indirizzare meglio sulla scelta e preparazione di certi repertori. Io non amo molto i concorsi ma sicuramente sono una delle principali vie per arrivare ad intraprendere la professione a patto di sceglierli con attenzione, oggi ne esistono una moltitudine impressionante che rischiano nell’eccesso di annullare tutto e di non offrire il giusto risalto ai vincitori. Si assiste sempre più al fenomeno dei giovani da concorso che a me ricordano le figure degli atleti.
Un altro suggerimento che posso dare è quello di recarsi a studiare, se possibile per un certo periodo, all’estero in grandi Istituzioni, lì oltre alla qualità certificata si viene a contatto con altre realtà, altri strumentisti provenienti da tutto il mondo e si possono incontrare i cosiddetti talent scout, figure che da noi sono scomparse.
Oggi finalmente nei Conservatori la musica da camera con chitarra ha uno spazio e questo è fondamentale per lo sviluppo del musicista ma anche per il futuro. Collaborare con tanti musicisti crea un ventaglio di possibilità maggiori sia per i repertori da proporre ma anche perché possono nascere, dal lavoro promozionale di tutti, più occasioni e stimolare maggiormente l’attenzione dei festival extra chitarristici.
Naturalmente esiste anche la possibilità di proporsi in festival chitarristici, che io non frequento trovandoli troppo chiusi e in parte colpevoli di aver chiuso la strada ad altre stagioni musicali che ora si rivolgono raramente al nostro strumento. Questi festival, diretti da chitarristi, rivolti prevalentemente ad un pubblico di nicchia, tranne rari casi hanno finito per diventare delle sorti di circuiti chiusi dove è molto difficile entrare per un giovane.
In ultimo voglio fare un esempio personale che spero possa servire da spunto. In questi ultimi anni tengo una media di 20/25 concerti all’anno di cui circa un terzo sono recital solistici, una decina o poco più in duo vari (violino, flauto, voce recitante, violoncello, cembalo, pianoforte) e il resto, a seconda degli anni, con formazioni allargate come trii a volte anche jazz, chitarra e quartetto d’archi, chitarra e orchestra. Solo la metà di questi è organizzata dalle mie due agenzie (che ancora per fortuna tengono duro con la chitarra) il resto però è frutto di collaborazione con i musicisti con cui suono oppure con interpreti che ospito in un rapporto di stima reciproco nella stagione che dirigo.
Da 11 anni sono direttore artistico di una importante Istituzione come l’Accademia Tadini. Fra le varie manifestazioni che dirigo mi piace ricordare Onde Musicali sul Lago d’Iseo che ogni anno offre, con un cachet, oltre 50 concerti a giovani di tutto il mondo solisti e formazioni da camera. Sono allergico ai concorsi come commissario ma ho fiducia in alcuni molto seri che mi danno garanzia di qualità e io ospito ogni anno vincitori di diverse tipologie di strumenti insieme a studenti selezionati da Accademie estere o Conservatori italiani. I restanti li decido autonomamente fra centinaia di proposte che ricevo ogni anno. Per questo mi sento di dare un consiglio ai giovani musicisti ed è quello di imparare a presentare bene il proprio materiale, anche nella forma, non inviate proposte generalizzate ma cercate di informarvi sul taglio artistico, sui luoghi che ospitano i concerti per poter pensare ad una proposta consona. Al giorno d’oggi poi si ha il vantaggio di poter inviare video con dei semplici link e in questo siate attenti non solo alla parte indispensabile di qualità esecutiva ma anche al contenuto artistico, alla scelta dei programmi. Tenete sempre presente che un direttore artistico riceve decine se non centinaia di proposte e sicuramente sarà più attratto da quelle che sono frutto di ricerca e di ragionamento capaci di accostare brani noti a brani meno noti, nei quali si possa riscontrare un percorso artistico e non semplicemente una riproposizione dei propri programmi di studi accademici che spesso finiscono per essere tutti simili.
GIULIO TAMPALINI
È vero, negli ultimi decenni, la chitarra è presente quasi esclusivamente nei festival e i concorsi sono diventati, più che un luogo di preparazione alla carriera, un luogo di espressione della carriera. Per questo credo sia necessario a tutti i costi ampliare questa nicchia e farla respirare sempre di più. Gli unici metodi sono quelli di collaborare apertamente con altri musicisti, quindi di cominciare fin dal Conservatorio, dagli studi iniziali, a considerare l’importanza cameristica della chitarra. Inoltre, a mio avviso, è fondamentale confrontarsi e dialogare costantemente con il proprio repertorio, al fine di offrire il giusto mix tra tradizione, scoperta e nicchia. La collaborazione con i compositori è poi essenziale per ampliare le prospettive e renderla più profonda, trasmettendo anche ai compositori le potenzialità di questo meraviglioso strumento. Infine accrescere sempre più il dialogo tra la chitarra e la musica, rendendola un terreno fertile e importante per nuovi progetti.
CARLOTTA DALIA
Credo sia scontato dire che non esiste una regola o una legge per tracciare un percorso ideale che porti ad uno sviluppo della carriera “perfetta”.
Personalmente ho cercato di sfruttare ogni occasione abbia trovato finora sul mio percorso, per poi tirarne le somme. I concorsi sono l’evento più frequente e l’opportunità alla portata di tutti i giovani. Ci si iscrive e si partecipa. Chiunque può farlo. Personalmente ne ho fatti moltissimi fino ad oggi e non posso esimermi dal riconoscere che siano serviti molto ad accrescere il mio “prestigio” nell’ambito chitarristico. Mi sono però resa conto che al di fuori dei chitarristi, quasi nessuno nell’ambito della musica “ufficiale” conosce o segue un concorso di chitarra, neanche quelli più blasonati. La chitarra non esiste al concorso “Queen Elisabeth” di Bruxelles, tantomeno al “Tchaykovsky” di Mosca e gli altri musicisti identificano la chitarra quando parliamo di Segovia, del dopo non sanno quasi nulla (tranne rarissimi e fortunati casi).
La chitarra si è evoluta tantissimo negli ultimi 50 anni. La tecnica, gli interpreti e lo strumento stesso hanno subito dei notevolissimi progressi. Forse il fatto che i chitarristi si siano chiusi in loro stessi nei festival di chitarra ha favorito questo sviluppo. Il fatto è che lo sappiamo solo noi. I direttori artistici dei teatri e delle orchestre pensano ancora (nel 90% dei casi) che la chitarra sia uno strumento dal suono flebile e quasi impercettibile. Non conoscono il nostro strumento e hanno una grande diffidenza. Insomma: se possono evitano volentieri.
Io reputo che tutto questo sia un gran peccato e credo che la chitarra viva un’emarginazione immeritata. La responsabilità però è dei chitarristi stessi, specialmente dei giovani. La maggior parte si fossilizza sul fare mille concorsi, senza avere un minimo di visione e prospettiva sul “dopo”. I concorsi sono un mezzo, non un punto d’arrivo. Per esempio, noto che in pochissimi cercano di intessere rapporti con il mondo “musicale”. Quanti chitarristi capiscono l’importanza e l’utilità della musica da camera? Pochissimi.
2) I social media
FLAVIO CUCCHI
In passato, prima della rivoluzione digitale, i media erano: giornali, TV (solo 3 canali) e radio.
Non era facile essere invitato sui media, ma bastava apparire una volta in TV o avere qualche bella recensione su giornali per godere di una certa notorietà.
Poi le TV si sono moltiplicate e con l’avvento di internet si sono aperte nuovissime strade.
Da una scarsità di canali che premiava solo i pochi che ne avevano accesso, si è passati, grazie ai social, YouTube in particolare, alla possibilità per tutti di farsi vedere (in tutto il mondo!) a costo zero.
Questo fatto, occorre ricordarlo, inedito sul pianeta Terra, ha però l’inconveniente di creare una iperabbondanza di presenze con la conseguente difficoltà, ancora una volta, di emergere.
Ma non per tutti è così: la Rete ha le sue regole, e con un po’ di conoscenze di marketing alcuni hanno trovato nei social il modo per avere successo.
Ci sono alcuni chitarristi, bravi ma non necessariamente eccelsi, che riescono ad avere milioni di visualizzazioni su YT, altri che riescono a entrare nelle playlist importanti di Spotify riuscendo a monetizzare le loro registrazioni ecc.
Evidentemente la Rete è uno spazio che, saputo usare, può dare dei frutti in termini di notorietà e di entrate. Voi cosa ne pensate: è una carta che si può giocare? In che modo?
ELENA CASOLI
Internet è un'ottima possibilità di condividere a livello internazionale il proprio far musica. La proposta musicale in internet è molto affollata, di qualità discontinua, di fruizione rapida. Chi riesce ad emergere in questo flusso continuo di proposte ha capito come vuole presentarsi e si è dedicato a capire come usarla. Ci vuole intuito e competenza. C'è chi gestisce da solo i propri canali, ma può essere una buona idea farsi aiutare da coetanei non musicisti, esperti della rete. Perché anche questo è un lavoro e farlo bene richiede tempo e un aggiornamento delle informazioni e dei video. Chi suona ha bisogno di tempo per suonare e non può passare troppe ore a gestire la propria attività anche in internet
LUCIO MATARAZZO
Recentemente ho sentito suonare dal vivo una chitarrista che ha milioni di followers sui social media. Ero a tre metri da lei e spesso non riuscivo nemmeno a percepire le note. Un vero delirio.
In un’altra occasione, qualche anno fa, ne ho ascoltata un’altra, sempre con milioni di followers, che suonava brani di repertorio nazional popolare. Ero poi a cena con un mio amico che mi chiedeva come mai il nome di questa chitarrista non compariva in nessun cartellone di stagioni importanti.
Gli feci notare che se lei avesse chiesto un euro ai suoi followers e l’uno per cento (percentuale naturalmente ridicola) dei suoi followers glielo avesse dato, lei avrebbe guadagnato circa centomila euro. Se ne poteva anche poco interessare di essere inserita in stagioni “ufficiali” importanti…
Sai che poi questa chitarrista qualche mese dopo lo ha fatto?
Come vedi il “management”, ma anche il self management, ha di gran lunga superato i valori reali di qualità nel definire la carriera di un musicista, naturalmente sempre che questa si consideri una carriera artistica…
Non tragga in inganno il fatto che abbia citato come esempi due donne, l’ho fatto solo perché per caso ho avuto queste due esperienze dirette. Le cose per gli uomini sono pressoché identiche.
Questo vale anche per la diffusione dei video su YouTube o sui social media.
Spesso la musica diventa una sorta di sottofondo a qualcosa d’altro, una colonna sonora di un video dove magari si vede che il chitarrista passeggia in un bosco, o si osservano bellissimi scorci di panorami o di pescatori che tirano la propria rete…
A me è capitato addirittura che alla fine di uno di questi video per qualche secondo non ricordavo nemmeno che brano fosse stato suonato, a dimostrazione che la musica, come dicevo prima, spesso rimane sullo sfondo…
Per fortuna è ancora un trend e non una realtà consolidata.
Il vero talento, il genio e la vera Arte è molto difficile che rimangano “nascosti”, ma diventa sempre più difficile per coloro che sono di un livello medio-alto riuscire a impostare una carriera importante e molto spesso assisto a delle vere e proprie rinunce ad una vita che, ricordiamolo, può dare grandi soddisfazioni ma richiede un grandissimo sacrificio in termini di impegno.
Certamente anche qui ci sono delle eccezioni. Cito fra tutte l’appena ventiduenne Carlotta Dalia che, nonostante la sua giovanissima età, sta letteralmente iniziando ad esplodere nel panorama del concertismo internazionale. Non volendosi “omologare” al comune trend dei giovani quasi ossessionati dal dover vincere i concorsi, ha deciso, ad esempio, di dedicare alcuni mesi della sua vita a studiare le musiche di Ida Presti per registrarne la world premiere dell’integrale delle sue composizioni per chitarra sola, regalandoci poi una interpretazione in CD a dir poco strabiliante, entrato già diverse volte nelle classifiche degli album più venduti di tutta la musica classica su iTunes.
Ecco, già da questo si può percepire un profilo di un’Artista che ha ben chiaro quale deve essere il suo percorso, ben diverso da quello di altri grandi talenti, che naturalmente ci sono e non sono pochi, ma corrono il rischio di inaridirsi col tempo inseguendo un sogno che è come pensare di diventare milionari comprando i biglietti della lotteria.
CLAUDIO PIASTRA
Sono poco indicato a dare consigli perché a parte un uso limitato di facebook non amo i social e sono allergico alle esibizioni online o in video, troppo legato al contatto con il pubblico e al rito del concerto. Sono però certo che questo è anche un mio limite e da osservatore vedo che, soprattutto nelle nuove generazioni ma non solo, è un’imprescindibile occasione per dar libero sfogo al bisogno di esprimersi per un pubblico e avere l’opportunità di farsi conoscere. Il pericolo però è quello dell’inflazione e per questo credo sia indispensabile avere le idee chiare su cosa si vuole trasmettere e cercare di avere un progetto artistico a 360 gradi. Scorrendo i social si incontrano centinaia di video sostanzialmente tutti uguali e statici e spesso con repertori consumati che finiscono per annoiare.
GIULIO TAMPALINI
I social media sono fondamentali. Non solo consentono al musicista di promuovere la propria attività, ma consentono anche una cosa straordinaria: raccontarsi. Ora, il modo in cui raccontarsi diventa essenziale in questo percorso e la parola magica è “equilibrio”. Perché si parla sempre di raccontare un contenuto ma con la possibilità, per me anche con l’intenzione, di direzionarlo, con una qualità imprescindibile alla base di tutto. Ecco che quindi, oltre ai video musicali, diventano importanti gli spazi dedicati alla narrazione, al racconto e alla comunicazione, con l’obiettivo di allargare il proprio ambito di azione, raggiungere più pubblico e incrementare il raggio d’azione della propria attività artistica.
CARLOTTA DALIA
Credo che ogni mezzo di comunicazione sia utile per divulgare il proprio valore. Non credo che, alla lunga, la notorietà social possa sostituirsi all’eccellenza dell’interprete. Sicuramente, se ben usati, i social possono aiutare a farci conoscere da pubblico e sono una vetrina per mostrare a chiunque i nostri contenuti e il nostro valore. Avere tanti followers non vuol dire avere tanti concerti in agenda.
3) Cross over?
FLAVIO CUCCHI
Negli ultimi decenni, forse dagli anni ’90, i confini fra i generi musicali, una volta invalicabili, si sono indeboliti.
Molti musicisti classici presentano nei loro programmi anche musiche pop, così come Jazzisti presentano opere classiche. Vedo proprio ora che Mario Brunello e Giovanni Sollima presentano un programma che spazia da Bach ai Queen.
A quanto pare per qualche motivo Il pubblico è cambiato e di conseguenza è cambiata l’offerta.
I motivi sono tanti e non è questa la sede per discuterli…sta di fatto che oggi si assiste a una apertura che porta dei frutti, a volte discutibili, a volte molto stimolanti.
Questa apertura può essere una opportunità per i giovani musicisti?
ELENA CASOLI
Per me è bello e sempre interessante come musicista potermi spostare tra generi musicali di vario tipo, lavorare con musicisti con esperienze e background diversi dal mio. Mi piace ascoltare chi lo fa e penso che faccia bene fare quest'esperienza o averla avuta nel proprio percorso di crescita e riprenderla da adulti in nuove forme. Molti giovani chitarristi con i quali ho lavorato hanno suonato l'elettrica da adolescenti, poi si sono concentrati sulla classica e poi hanno ripreso in mano l'elettrica per la musica sperimentale, scoprendo di avere una competenza -magari solo empirica- dello strumento, ma molto utile e che ha aperto loro nuove possibilità performative.
Ciò che importa per me è evitare la superficialità, non avere la presunzione che per avvicinarsi a generi musicali diversi dal nostro (quale che sia) basti saper suonare, avere sempre presente che ogni stile ha bisogno di essere conosciuto, praticato, approfondito.
LUCIO MATARAZZO
Come già sai il sottoscritto ha avuto tantissime esperienze, dal liuto barocco usato come continuo nelle Stagioni di Vivaldi a Le marteau sans maître di Boulez passando per le piazze e i teatri strapieni nei concerti tenuti con Antonella Ruggiero e Alessandro Haber. Ricordo che anni fa al Teatro romano di Benevento partecipammo, come GuitArt Quartet insieme alla Ruggiero, ad uno spettacolo in omaggio a Domenico Modugno che fu trasmesso dalla Rai in mondovisione e visto da circa 45 milioni di spettatori.
Ma è anche vero che la mia registrazione dei 36 Capricci di Legnani (che oramai risale a quasi 25 anni fa) ha avuto una sbalorditiva diffusione mondiale e sono uno dei pochissimi chitarristi classici al mondo che ha tenuto a battesimo ben 5 concerti con orchestra dedicati a sé e ai gruppi di cui era uno dei principali “attori”, come i due concerti di Leo Brouwer, i due concerti di Angelo Gilardino e quello di Gerard Drozd.
Ho voluto riassumere la mia attività negli anni per far capire come gli ambiti in cui operare possano essere tantissimi e diversissimi, ma l’importante rimane sempre la qualità con cui si realizzano i propri progetti e il livello di attendibilità artistica delle proposte che si fanno.
Quindi, ritornando alla domanda, certo che il crossover può essere una opportunità, ma deve essere sempre di altissimo livello artistico e soprattutto esprimere una propria originalità e non essere fatto a ricalco di ciò “che va per la maggiore”, e questo non si può certo dire che sia una consuetudine.
CLAUDIO PIASTRA
Io sono cresciuto in un contesto che, sbagliando, teneva troppo il distacco tra i generi. Fa sorridere ai nostri giorni ma allora questo succedeva anche nei confronti della così detta “musica contemporanea” o dell’allora nascente prassi esecutiva barocca su strumenti originali. Figuriamoci nei confronti degli altri generi musicali, contrastati apertamente fino alla proibizione come accadde a me. Io suggerisco sempre ai miei studenti di praticare e conoscere tutti i generi, occasione per arricchirsi e offrirsi più prospettive future in ambito lavorativo.
Devo però necessariamente sottolineare come ultimamente siamo passati all’eccesso dove si tende a generalizzare e considerare tutto sullo stesso piano, invasi dalla cultura dominante e dal bombardamento mediatico e per questo è necessaria una buona dose di conoscenza ed equilibrio.
GIULIO TAMPALINI
Veniamo ora al Cross over, la contaminazione, l’intreccio, il dialogo fra stili e linguaggi diversi: io penso che il dialogo e l’apertura sia sempre estremamente stimolante e questo in ogni ambito artistico, non solo musicale. Ritengo che diversi linguaggi possano fondersi e dialogare con lo scopo di creare qualcosa di nuovo. Una cosa fondamentale che già succede è per esempio sfruttare l’improvvisazione nella musica classica, non tanto a livello di esposizione ma di stile esecutivo. Insomma ci possono essere tanti ambiti diversi, tante linee di contatto. L’importante è trovare l’innesto giusto e crearlo sempre in maniera intelligente, aperta, stimolante ma è indubbio che dalla apertura e il dialogo nasca sempre qualcosa di interessante e creativamente valido.
CARLOTTA DALIA
Credo che avere una visione aperta sia molto importante, la chiusura mentale non premia mai. Credo però che prima di addentrarsi in strade inconsuete si debba affrontare il repertorio e l’approccio “consueto” al repertorio e al concerto. Entrambi gli artisti citati nella domanda hanno l’esperienza e la maturità musicale per approcciare qualcosa di diverso dal repertorio consueto senza snaturare la propria identità musicale. Se possono farlo è perché certe scelte arrivano dopo un percorso lungo ed imponente.
4) Show!
FLAVIO CUCCHI
Forse per assecondare il pubblico televisivo e dei social l’aspetto spettacolare ha infiltrato anche l’ambiente della classica e oggi si vedono concertisti che suonano a piedi nudi o concertiste che, se il fisico lo permette, esibiscono tacchi da 12, scollature e spacchi come valore aggiunto al loro talento artistico. Le performance musicali spesso vengono sottolineate con gestualità o espressioni esagerate, come se il suono, l’interpretazione musicale in sé non fossero più sufficienti per creare un impatto emotivo in un pubblico che pare reagisca principalmente alle sollecitazioni visive.
Ho sentito dire che in qualche scuola di musica (non ricordo dove, ma all’estero), tengono corsi di “Facial expression” (mimica facciale).
Capisco che uno deve farsi notare e oggi è molto più difficile che nel passato, ma non è un pericoloso trend “al ribasso”?
Quale deve essere il limite di queste manifestazioni esteriori (se proprio sono inevitabili)?
ELENA CASOLI
Non vorrei porre alcun limite all'espressione performativa -nè nell'abbigliamento nè nell'espressione corporea- se non quello dell'efficacia della comunicazione artistica con il pubblico. Naturalmente il centro sta nella qualità e nella forza della proposta musicale. Un atteggiamento autentico nella gestualità e nell'espressione -anche se molto personale, insolito, accentuato- è solitamente riconosciuto come tale dall'ascoltatore ed è convincente ed efficace. Un atteggiamento teatrale, istrionico...perchè no? Può essere ugualmente efficace -quale che sia il genere musicale proposto- se è sostenuto da un pensiero forte, da abilità interpretativa, da un'urgenza espressiva e da un lavoro per la scena che renda entusiasmante la performance, nel suo insieme, per l'interprete e per il pubblico.
LUCIO MATARAZZO
Credo che bisogna saper distinguere. Yuja Wang e Khatia Buniatishvili sono due bellissime donne e si esibiscono sempre con una mise molto appariscente, ma sono anche delle pianiste straordinarie con un virtuosismo strumentale e una musicalità stupefacenti.
In altri casi espressioni gestuali esagerate però possono essere un boomerang perché non fanno altro che “distrarre” l’ascoltatore dalle interpretazioni che, ricordiamolo, nella musica colta sono sempre fatte da sfumature, spesso molto sottili.
Nessuno ricorda - è una battuta, ma credo sia indicativa - per quale ragione gli orchestrali e i concertisti in genere sono vestiti di nero. Il motivo per cui questo è diventato una tradizione è proprio perché l’ascoltatore non dovrebbe trovare alcun motivo di “distrazione” dall’ascolto della musica.
Certamente lo considero, insieme alle tante cose di cui sopra, un trend al ribasso, una virata verso la spettacolarizzazione che a volte raggiunge limiti davvero insopportabili.
Ma in una società sempre più basata sull’immagine - e, ricordiamolo, sulla gestione della sua “monetizzazione” - non ci si può aspettare altro.
Il tutto, naturalmente, con le dovute eccezioni, che per nostra fortuna sono ancora tantissime.
CLAUDIO PIASTRA
Io con lo spacco non figuro molto bene e quindi lascio agli altri questa forma di esibizione. A parte le battute devo dire che credo questa tendenza tocchi tutte le arti da un po’ di tempo. Alcuni giorni fa mi trovavo in Germania ed ho assistito ad uno spettacolo straordinario di fusione fra le arti, danzatori, musicisti, acrobati, con costumi, luci, effetti, scene straordinarie. Ho riflettuto a lungo (e già questo è un buon segno dell’impatto che avuto su di me) senza riuscire a trovare una profondità, un contenuto e sono giunto alla conclusione che il suo significato è proprio la spettacolarizzazione del bello come forma artistica. Tornando alla musica una volta qualcuno ha detto, o forse me lo sono sognato, che è come il mare: ci sono artisti che lavorano sulla superficie ed altri che si immergono e scendono in profondità e l’esempio era una star dei nostri tempi il pianista Lang Lang “il superficiale” in confronto ad artisti come Pollini o prima di lui Michelangeli o Horowitz e tanti altri. Tutto vero però la superficie di Lang è bellissima e brilla di una luce incredibile e posso comprendere (non condividere) l’entusiasmo che suscita nel pubblico. E qui tento di rispondere alla domanda sul limite e penso che alla fine quello che conta è la qualità che si manifesta in più forme ed è il pubblico a decretare il successo.
GIULIO TAMPALINI
Veniamo alla ultima interessante domanda: credo che quello che conti come in ogni ottima performance sia la verità. E’ quella che conquista e ci porta dentro il cuore della musica. La verità è, secondo me, la vera chiave di espressione di qualunque musica. Per questo io credo che tutto quello che riguarda la gestualità, l’aspetto teatrale, la mimica facciale, le espressioni corporee che accompagnano l’esecuzione debbano essere mirate, studiate, ma fino a un certo punto e sempre con grandissimo equilibrio. Può quindi essere importante una gestualità equilibrata se questa, rivela una sincera, autentica e direi emozionante partecipazione di chi suona, perché lo sappiamo: se chi suona si emoziona veramente, anche noi che ascoltiamo saremo rapiti ed emozionati da chi suona
CARLOTTA DALIA
Il limite deve essere il rispetto per l’arte e per la musica. L’eleganza e il buongusto devono essere una conditio sine qua non. Mi rendo conto che spesso, per creare un personaggio o per avere il like “facile”, molti/e cedano al presentarsi in maniera inutilmente eccentrica. Rimango però convinta che ci sarà sempre una giustizia per i veri artisti, perché alla fine un’emozione sincera e autentica si distinguerà sempre dall’egocentrismo fine a se stesso.
FLAVIO CUCCHI
Veniamo ora all’interessante intervento del M° Oscar Ghiglia.
Oscar suggerisce 13 azioni (strade) che un giovane può percorrere e indica come ognuna di esse di fatto attiva, influenza, implementa alcune altre.
Es. Musica da camera (1) implica (rende possibile) Frequentare ambienti artistici (5), Mantenere relazioni importanti (8) e Incidere dischi (9) ecc.
Queste le sue parole:
OSCAR GHIGLIA
Carissimo Flavio,
sono d’accordo con te nella consapevolezza che debba esserci una via per iniziare, sviluppare e riuscire la propria carriera di concertista. Una via che possa indicare ai giovani ciò che i vecchi credono bene di consigliar loro, per il bene dell’arte musicale e interpretativa.
Come suggerisci nelle tue domande, la situazione internazionale è oggi diversa da quella da noi incontrata alle nostre prime armi, e nuovi aspetti del rapporto tra la gioventù e il pubblico possono indirizzare l’una e l’altro verso un futuro a noi pressappoco ignoto.
Tuttavia, anziché cercare di formarmi un’opinione chiara, da compartire coi giovani chitarristi in cammino verso una sicura carriera, cosa a me apparentemente irta di troppe difficoltà pratiche e, (perché no?) etiche, ho scelto di indicar loro una serie di argomenti, per me importantissimi, che hanno contribuito enormemente alla realizzazione di ciò che potremmo ormai chiamare una carriera.
1 Musica da camera+5+8+9+
2 Insegnamento+4+10+8+
3 Specializzazione in stili particolari+2+5+8+
4 Viaggiare molto+2+3+5+6+8
5 Frequentare ambienti artistici, non solo musicali+1+2+6+
6 Presenziare in giurie internazionali+8+11+
7 Empatizzare col proprio pubblico...+4+8+2+5+
8 Mantenere relazioni importanti+9+6+1+
9 Incidere dischi immortali...+7+8+
10 sviluppare al massimo la propria tecnica...+4+2+
11 approfondire nel proprio mondo interiore la comprensione della musica +7+3+4+6+8+10+5+9+
12 scegliere un repertorio di indubbia solidità stilistica e compositiva+11+10+9+3+1+
13 Non appartenere unicamente ad una corrente risalente a un personaggio storicamente importante+11+12+10+8+7+5+3+2+1+9+
I numeri (a caso incolonnati) indicano situazioni grazie alle quali altre situazioni possono nascere... le indicazioni relative a ciascuna di esse sono frutto della mia passata e duratura esperienza. Potrei aver sviluppato l’argomento usando più linguaggio che numeri, ma sarei stato imperdonabilmente prolisso e chissà se sarei riuscito allo scopo prefissomi...
Spetterà a ciascuno di essi la scelta di comprendere la causa è l’effetto di un soggetto verso l’altro, o di prendere atto del mio pensiero, espresso in termini numerici, onde evitare le migliaia di parole necessarie ad esprimerlo, il che potrebbe essere frainteso e quindi inutile allo scopo del tuo intervento.
Come mi sembra semplice credere, nella vita, una cosa tira l’altra... ed è importante che l’istinto più puro verso l’alto non venga subissato di idee che possano influenzarlo negativamente, portandolo verso una corrente più che verso un’altra.
Alcune considerazioni finali
FLAVIO CUCCHI
Spero che il confronto a distanza di questi artisti, tutti significativi e così diversi fra loro, vi sia di stimolo e vi dia qualche spunto concreto per intraprendere la strada del concertismo.
La capacità di crearsi una carriera è un fattore indipendente dalla qualità artistica e varia da individuo a individuo. Dipende dal carattere, l’indole, l’intraprendenza e l’abilità nel gestire le relazioni umane.
Come uno studente può migliorare la sua tecnica sullo strumento, così può migliorare la sua efficacia nel muoversi nel mondo professionale e spero che questo nostro tentativo possa aiutare chi legge a trovare, tra le varie strade suggerite, quelle che si adattano meglio alla sua personalità.
Non c’è una ricetta che valga per tutti: dovrete trovare quella vostra, così come dovete trovare la vostra personale interpretazione di un pezzo di musica.
Per concludere: sono emersi diversi consigli su cosa Fare, vorrei solo aggiungere alcune cose che, secondo la mia esperienza, si deve Essere per Avere successo.
1 Essere Sicuri della nostra qualità di artisti
2 Essere Sicuri della nostra capacità di manifestarla in pubblico
3 Essere Desiderosi di avere successo
4 Essere Decisi ad ottenerlo.
Auguri a tutti!