di Gonzalo Solari
La lezione venne interrotta dal suono del campanello.
Amilcar si alzò con la sua proverbiale tranquillità per andare ad aprire al postino e lungo le scale accese la sua Montevideo Extra che stringeva tra l'anulare e il mignolo quando non impugnava la chitarra.
Fu lui a insegnarmi a suonare tenendo la sigaretta in quel modo.
All'interno di quella stanzina dell'appartamento di via Evaristo Ciganda bisognava cacciare via la nuvola di fumo cercando di fare vento con le mani.
Amilcar tornò leggendo una lettera la cui busta era cacciata all'interno della tasca posteriore dei suoi pantaloni.
Accidenti che nebbia, Gonzalo! esclamò aggiungendo con quel fare "rochense" e autenticamente genuino.
Lo sai che mi ha scritto il Negro?
Il Negro chi? domandai curioso.
Il Negro Baltazar Benitez!
Amilcar lesse ad alta voce.
Mentirei se dicessi di ricordare il contenuto della lettera, ma mi è rimasto impresso il tono euforico di quelle parole salpate da una Spagna che appariva così lontana a un ragazzino di provincia come potevo essere io allora.
Non scorderò mai l'intestazione: Caro “Sopeti”.*
Era la prima volta che sentivo parlare di quell'amico, conterraneo e straordinario chitarrista che fu Baltazar Benitez.
Il destino è stato crudele con lui, ma lui si è difeso come meglio poteva e quando si trovava già contro le corde le ha sferrato un montante al mento con le sue registrazioni, la migliore arma contro quei colpi mortali e il dono più grande che potesse lasciarci per ricordare ogni giorno che non essere più tra noi non significa essere dimenticati.
Gonzalo Solari
Arezzo, Italia, settembre 2018
*”Sopeti: è l'inversione delle sillabe della parola “Petiso”, che si riferisce in modo colloquiale a una persona di bassa statura. L'inversione delle sillabe è un tipico modo informale di parlare per non essere capito, soprattutto in Uruguay e Argentina.
Traduzione di Valentina Solari
Correva l'anno 1971, quando all'età di 15 anni, nel cuore dell'australe inverno montevideano, mi ritrovavo alle prese con lo studio n. 1 di Heitor Villa Lobos.
Me lo aveva scritto a mano con la sua inconfondibile calligrafia, il mio caro maestro di allora, l'indimenticabile Amilcar Rodriguez Inda.
Appoggiava la chitarra rovesciata sulle sue gambe e il retro di quella Orozco che ha riempito la mia adolescenza di arpeggi e scale,
fungeva da tavolino in maniera un po' arrangiata e improvvisata.
Chau Baltazar...
En aquel invierno montevideano y austral de 1971, yo tenía quince años y andaba a los piñazos con el Estudio N° 1 de Heitor Villa-Lobos.
Me lo había escrito a mano con su caligrafía inconfundible mi querido Maestro de entonces, el siempre recordado Amílcar Rodríguez Inda.
Apoyaba la guitarra boca abajo sobre sus piernas y el fondo de aquella Orozco que llenó mi adolescencia de arpegios y escalas, se transformaba en una mesita improvisada.
El timbre del cartero interrumpió la clase.
Amílcar bajó con su proverbial parsimonia.
Por la escalera había prendido su Montevideo Extra que apretaba entre el anular y el meñique de la mano derecha aún cuando no empuñaba la guitarra.
Él me enseñó a tocar aguantando el cigarrillo con esos dos dedos.
En aquella piecita del apartamento de la calle Evaristo Ciganda había que apartar el humo con la mano.
Volvió leyendo una carta cuyo sobre vacío asomaba por uno de sus bolsillos traseros.
-Pah, Gonzalo, tá brava la niebla!-dijo mientras agregaba rochense y castizamente:
-Sabes que me ha escrito El Negro?
-Qué Negro?-pregunté yo
-El Negro Baltazar Benitez.
Amílcar leyó la carta en voz alta.
Hoy mentiría si dijera que recuerdo el contenido pero me quedó prendado el "tono" eufórico de aquellas líneas que habían zarpado de una España aún más lejana para un canarito como yo que todavía vivía en Fray Bentos.
Lo que no olvidaré jamás es el encabezamiento: Querido sopeti.
Aquella fue la primera vez que oí hablar de ese amigo, compatriota y extraordinario guitarrista que fue Baltazar Benitez.
El destino lo golpeó duramente pero él se defendió como pudo y cuando ya estaba contra las sogas, le dio "áperca" en la mandíbula con sus grabaciones que son la mejor manera de esquivar golpes mortales y de recordarnos que ausencia no es olvido.
Gonzalo Solari
Arezzo, Italia, agosto de 2018
Ciao Baltazar…
(in memoriam Baltazar Benítez)