Simm 'e Napule, paisa’
di Alessandro Altieri
DUE PAROLE SULLA TRASCRIZIONE
La canzone oggetto della trascrizione di questa "puntata" è da sempre nelle orecchie e nel cuore di chi Vi scrive, un po’ perché era nella "top ten" di quelle che il mio babbo ascoltava/canticchiava da un vecchio giradischi con la raucedine (troppi) anni fa (come già ho avuto modo di raccontarVi in altra occasione) ed un po’ perché l'enorme popolarità di cui ha goduto in passato, ed ancora gode a tutt'oggi, (pressoché impossibile stilare un elenco delle grandi voci che, nel tempo, l'hanno interpretata) ha senza dubbio contribuito a fissarla nella (non solo mia) mente e nell'anima.
Probabilmente non si può godere di grande successo senza essere, al contempo, anche al centro di pettegolezzi, polemiche, discussioni e dibattiti di ogni natura. Neanche questa canzone ha potuto sottrarsi alla ferrea regola testé enunciata. Infatti essa è stata, fra l'altro, causa di notevoli dissidi verbali al limite della rissa fra politici ed intellettuali dell'epoca (siamo nell'immediato dopoguerra) derivanti soprattutto da quella frase conclusiva "chi ha avuto ha avuto ha avuto / chi ha dato ha dato ha dato" / scurdammoce 'o passato / simmo 'e Napule, paisà. "
Per poter comprendere le ragioni delle polemiche che sorsero dovete, però, consentirmi di fare un piccolo passo indietro. Nel momento storico al quale ci stiamo riferendo, eravamo tutti reduci dalla 2a Guerra Mondiale, uno dei conflitti più devastanti e brutali che l'Homo, tanto imprudentemente quanto ottimisticamente auto-definitosi Sapiens, è stato in grado di perpetrare ai danni di sé stesso; morti a decine di milioni; donne e bambini, zingari ed omosessuali, ebrei e dissidenti, tutti assassinati in nome di una bislacca idea di "razza pura" (purezza evidentemente opinabile, almeno sul piano dell'etica, visti i mezzi adoperati per conseguirla); incalcolabili danni alle cose, intere nazioni sradicate dalle loro terre, oceani di sangue versato come, mi brucia dover qui a margine registrare, gli umani dalla notte dei tempi sempre fanno, costellando la loro storia di orrori indicibili e quotidiane atrocità. Homo Insipiens sarebbe una definizione paleontologicamente forse più corretta e calzante ... ;-(
Napoli, in tutto questo, fu una delle città italiane più colpite dai bombardamenti, degli alleati prima (l'ultimo poche ore prima dell'annuncio ufficiale dell'armistizio) e dei tedeschi poi; questi ultimi, avendola eletta città-retroguardia continuarono bellamente a martoriarla non paghi delle angherie e delle sofferenze che già le avevano inflitto. In tutto questo il fascismo aveva (avuto) la sua bella parte e le sue responsabilità, non c'è che dire. E troppi italiani l'avevano sostenuto ed appoggiato, durante il ventennio, almeno fino ad un certo segno.
Ecco, dunque, che quell'invito a dimenticare "scurdannose 'o passato" venne interpretato, specialmente dai pochi che il fascismo l'avevano, nei limiti in cui é possibile contrastare una dittatura, osteggiato ed avversato, come un colpo di spugna, un invito a dimenticare quello che è stato garantendo una sorta di impunità a chi invece aveva delle gravissime colpe morali quando non pure materiali.
Da qui alla tentazione di definire questa canzone un inno al qualunquismo, l’ennesima celebrazione dello stereotipo classico napoletano “pizza, spaghetti e mandolino” il passo è breve come la memoria (e l’intelletto) di certuni. Con ogni probabilità, invece, il sicuramente incolpevole Fiorelli voleva soltanto incitare i suoi "Paisà" a tentare di dimenticare i terribili tempi della guerra, le rovine fumanti ed i bombardamenti e cominciare a guardare al futuro (... e chiagnenne chiagnenne s'avvià / ma po’ a nustalgia fà priest a fernì .....) In fondo aveva scritto una canzonetta, mica un programma di governo!
Sicché, quando leggo, come mi è purtroppo capitato, dopo qualche “fattariello” di cronaca di quelli che accadono, certo, a Napoli, ma pure, e forse peggio, in tante altre città italiane, titoloni a caratteri cubitali su autorevoli (?) quotidiani del Nord, che se ne escono strillando in prima pagina “Simmo ‘e Napule, paisà”, non posso fare a meno di chiedermi se sanno di cosa stanno parlando.
La nostra trascrizione, ancora una volta in LA, cerca (ovviamente nella misura in cui ne sono stato capace) di rievocare un po’ quei momenti e di (re)interpretare l’anima di quella Napoli. Si incomincia con l'introduzione che spazia su tre differenti ottave e che necessita di scandire i bassi (come, del resto, quasi tutto il resto del pezzo) ricordando sempre che la Tarantella è una danza, e come tale dovrebbe avere la precisione ed il rigore ritmici necessari per poterla ballare.
L'esposizione della parte cantata (Tarantella facennoce ‘e cunte / nun vale cchiù a niente / ‘o passato a penzà) non presenta particolari difficoltà tecniche; cercate solo di marcare gli accordi, minime puntate, di accompagnamento al canto (Lamin / Sol+ / FA+ /Mi+) come nella migliore tradizione flamenco. Una piccola scala di crome in LAmin, che si ripete al basso con la sola variazione del Sib, introduce alla seconda parte del cantato (caccia oi nenna ‘o crespo giallo / miette ‘a vesta cchiù carella) dove la linea melodica, esposta a volte con improvvisi salti da un’ottava all’altra ad enfatizzarne il carattere improvviso, è da tenere sempre in bella evidenza.
Ritardando molto il tempo arriviamo alle tre battute di tremolo che fanno da preludio al ritornello in modo maggiore (basta ca ce stà ‘o sole …) con il quale si riprende il tempo iniziale e, cercando di dare al tutto un andamento il più “effervescente” possibile, si arriva alla fine della prima parte della trascrizione che ci riporta alla introduzione, questa volta senza “sbalzi di ottava”.
Un rapido gioco di bassi in rallentando fa da introduzione alla seconda parte della trascrizione, la quale, con andamento molto più lento e con il canto esposto all’ottava inferiore (evidenziare le variazioni armoniche dell’accompagnamento rispetto alla prima parte) cercherà di rendere l’atmosfera nostalgica e triste del cocchiere che “quanno sta a Santa Lucia, "Signurí', - nce dice a nuje - ccá nce steva 'a casa mia, só' rimasto surtant'i'..."aiutato dalla ripetizione della stessa frase melodica in armonici artificiali.
Poi, così come il cocchiere protagonista di questo momento lirico, anche la nostra frase musicale “chiagnenno chiagnenno s’avvia” a sfociare nella briosa e rapida (tempo primo) ripetizione del ritornello perché “po’ ‘a nustalgia fa priesto a fernì”.
Quindi si ripete, rapidamente e con la miglior precisione ritmica possibile, per due volte il ritornello, con piccole variazioni di ottava, e si arriva alla parte finale, di sapore appena un po’ ragtime, che, con quell’armonico naturale di SI al XII° , termina di colpo il modo maggiore, lasciando quasi un discorso interrotto, in bìlico fra due modi (maggiore e minore) e due mondi (la guerra e la pace), contrapposti eppur complementari, lontanissimi eppure così vicini. Insomma, lasciando la nostra trascrizione “col fiato sospeso”, come doveva certo essere l’animo dei Napoletani a ridosso di quei terribili momenti.
Per finire un lieve accenno della frase introduttiva, ottenuta qui con l’ausilio di quattro diverse corde, da lasciar vibrare il più possibile, come un effetto pedale, ed un accordo di Lam in “tambora” chiudono questa trascrizione che spero riuscirete a trovare interessante.
Le Vs. “impressioni e riflessioni” saranno, come sempre, molto gradite e, come di consueto, certo forniranno eccellenti spunti per migliorare il mio pur modesto lavoro.
Grazie per avermi sopportato anche stavolta.
Un e…bbraccio a tutti.
Alessandro ALTIERI
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