di Alessandro Altieri

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Comme facette mammeta

Buongiorno a tutti e bentrovati a questo appuntamento ormai consueto con le trascrizioni di celebri melodie. Mi scuso con tutti quelli che mi seguono con affetto e simpatia per il ritardo nella pubblicazione di questa “puntata” ma la morte di mio padre prima ed una brutta bronchite in seguito (che tuttora mi perseguita ed è ancora in via di guarigione) mi hanno tenuto lontano dal nostro amato strumento e nella impossibilità di trascrivere alcunché.

La melodia oggetto di questa trascrizione è tratta, ancora una volta, da una canzone Napoletana; la celebre “Comme Facette Mammeta” (scritta da Giuseppe Capaldo nel 1906 e musicata da Salvatore Gambardella ) e la dedica, doverosa oggi più che mai, è al mio caro babbo che ha avuto il torto di lasciarmi di recente e, in ogni caso, troppo presto rispetto a quel che avrei desiderato.  

Ma bando alle tristezze e veniamo alla trascrizione! Anche questa canzone, come i più affezionati sicuramente hanno immaginato, è stata macinata centinaia di volte dal vecchio giradischi paterno che mi dava il buongiorno tanti anni addietro. Anche questa è entrata stabilmente a far parte del mio, pur modesto, patrimonio culturale, nella versione cantata da Aurelio Fierro (anche se, ovviamente, ne ho ascoltate pure molte altre) ed anche per questa mi sono adoperato per cercare di rendere, con il nostro strumento, quanto più possibile completamente il “senso scanzonato” del pezzo e di riportare, oltre al canto fondamentale, anche tutta una serie di fioriture mandolinistiche e/o di accompagnamento che mi frullavano in testa, probabilmente retaggio di quella vecchia versione dei miei anni verdi.

Anche per questa, come in ogni nostro appuntamento, ho esperito delle ricerche per raccontarvi un “fattariello” in qualche modo correlato alla canzone e, per quanto non ci sia granché in rete, qualcosina ho trovato.  Il periodo storico di riferimento è quello della Belle Epoque (Fine XIX secolo – inizio Guerra Mondiale), durante il quale si ebbe una vera e propria fioritura di arte, cultura, scienza, chimica etc. Basti pensare che all’epoca risale l’introduzione dei primi treni, aerei, automobili, radio, cinema, diversi vaccini importanti etc.

Ovviamente anche a Napoli, come nel resto del continente, questo “vento nuovo” e quest’aria di pace, prosperità e benessere si fece sentire e non tardò a dare i suoi frutti, specialmente sotto il profilo artistico. Non mancarono, infatti, di venire alla luce le più belle e celebri canzoni napoletane di tutti i tempi, alcune persino composte da illustri sconosciuti e non certo Maestri Diplomati in quella nobile arte. A tal proposito si ricordi Vincenzo Russo, semplice commesso guantaio, che scrisse ‘I te vurria vasà”  - canzone, per inciso, che potrebbe essere oggetto di un prossimo arrangiamento. Stay tuned!   - o di Ottaviano, completamente a digiuno di musica ma che seppe comporre la celeberrima ‘O Marenariello – che potete già trovare nell’elenco delle trascrizioni presenti sul sito! –

Come costoro che ho appena citati il nostro Giuseppe Capaldo in quell’epoca era un semplice cameriere che serviva ai tavoli del ristorante paterno e che si era dotato, dopo tante insistenze del padre, del titolo di – udite udite!! – quinta elementare, conseguito con non pochi sforzi e sacrifici da parte del giovane che aveva, invece, vedute diverse.

Dovette, però, questa licenza servirgli, almeno di parziale supporto al connaturato ingegno che si portava dietro quando, in occasione della conoscenza di una certa Vincenza (detta Vincenzella e non Concetta come il testo della canzone lascerebbe supporre!) egli si innamorò e decise di mettere in versi tutta la passione e l’amore che sentiva dentro per dedicarli alla sua amata. Così nacque “Comme facette mammeta” che venne, in primissima istanza, proposta da Giuseppe nella cerchia dei suoi amici e parenti più prossimi ed, in seguito, inviata, sempre a cura dell’autore, al comitato festeggiamenti della Madonna del Carmine per un “autorevole giudizio”.

La commissione all’uopo istituita giudicò quella la migliore canzone pervenuta fra le innumerevoli che parteciparono, con grande gioia del suo autore il quale, forse anche in virtù di questo insperato successo, si fece coraggio ed “osò” presentarsi sotto le finestre della sua bella, accompagnato da una improvvisata orchestrina di amici e colleghi, per dedicarle personalmente la canzone e per condividere con lei la gioia della vittoria.

Quale possa essere stata l’amarezza e quanto sconforto si impossessò del povero giovane quando dovette constatare che Vincenzella non aprì le finestre (chiaro segno di rifiuto delle advances di Giuseppe) a noi non è dato sapere. Certo è che la delusione fu cocente ma le sue traversie amorose non finivano lì! Difatti, quando, successivamente, il fratello maggiore gli comunicò che avrebbe sposato lui Vincenzella Giuseppe fu costretto ad abbandonare il ristorante paterno e, conseguentemente, il suo lavoro, perché non riusciva ad accettare l’idea di poter vivere a stretto contatto di gomito con la persona di cui era innamorato ma che aveva scelto un altro.

Così il nostro, in breve tempo, trovò lavoro nel “Caffè Tripoli” che in quei tempi di grande fermento, era un vero e proprio monumento alla musica in generale ed alla canzone napoletana più specificatamente. Qui la storia era destinata a ripetersi perché il nostro si invaghisce della bella cassiera di quel locale – una certa spumeggiante Brigida – e scrive per lei un’altra celebra canzone “A tazza ‘e café” Anche in questo caso, purtroppo (o per fortuna. Chi può dirlo?  ) la bella Brigida non corrisponde l’amore del giovane Giuseppe ed a nulla valgono i suoi numerosi tentativi di farle cambiare idea.

Morale della favola “Gli autori di canzoni riescono sempre a far innamorare le loro donne … dell’uomo sbagliato!  


DUE PAROLE SULLA TRASCRIZIONE

La tonalità di impianto è quella di Re nei due modi minore e maggiore per strofa e ritornello. Non ho ceduto alla tentazione di accordare la sesta in Re probabilmente per semplice pigrizia  anche se, in qualche momento, se ne potrebbe ravvisare l’opportunità se non la vera e propria necessità.  Ad ogni modo la sesta a vuoto in Mi torna utile quando si è sull’accordo di La7 e tutto l’impianto della trascrizione, a mio modesto giudizio, pare abbastanza riuscito.

Raccomando, come già spesso è accaduto in passato, di fare, sì, riferimento all’MP3 allegato per avere un’idea della esecuzione ma di non essere troppo pignoli essendomi trovato a registrare il file senza disporre della partitura e, dunque, andando un po’ a memoria potrei aver omesso/aggiunto/variato qualche basso o notina di abbellimento o altro pur senza discostarmi, nella sostanza, dalla trascrizione che qui allego.

Si inizia con la celebre parte introduttiva, in modo maggiore, esposta su due ottave differenti per conferire al pezzo una certa ariosità ed evitare ripetizioni pedisseque e, attraverso una semplicissima frase di crome, si passa subito, nel modo minore, all’esposizione della parte cantata.

Quanne mammeta t’ha fatto,

quanne mammeta t’ha fatto

vuò sapé comme facette

vuò sapé comme facette ….

Come accennavo poche righe sopra ho cercato di inserire, frammezzate al canto, certe frasi mandolinistiche di accompagnamento che mi frullavano in testa e che probabilmente mi derivano da uno o più ascolti di versioni diverse del pezzo. Spero possano essere di gradimento per chi si cimenterà con l’esecuzione. La quale non è particolarmente difficile anche se, un certo andamento “allegro” e “brioso”, assolutamente consigliato per cercare di rendere lo spirito scanzonato che contraddistingue la composizione, potrebbe complicare, in una certa misura, la suonabilità del tutto.

Dopo l’esposizione del cantato e delle fioriture mandolinistiche si passa all’esposizione del ritornello nel modo maggiore.

... Ciento rose n'cappucciate

dint'a martula mmiscate

latte e rose, rose e latte

te facette 'ncoppa 'o fatto dint'a


Anche qui ho cercato di mantenere, per questioni di continuità con la parte minore, delle frasi di “accompagnamento” al canto principale del ritornello; ritornello che mi son permesso di sottoporre, la seconda volta, ad una piccola variazione nel tentativo di evitare la pedissequa ripetizione della frase cantabile.

Si torna al modo minore e si riespone la parte cantabile della strofa questa volta, però, all’ottava superiore e con modeste variazioni nelle frasi mandolinistiche di accompagnamento sempre nel disperato tentativo di evitare eccessive ripetizioni pari pari …

... E pe' fa 'sta vocca bella

e pe' fa 'sta vocca bella

nun servette 'a stessa ddosa

nun servette 'a stessa ddosa...


Si ritorna in maggiore con il ritornello che viene riesposto in maniera quasi identica al precedente e si termina con la sequenza Sol+ / Sol- / Re+ eseguita, come indicato in partitura “rasgueando” gli accordi e stoppando il finale. Fate, eventualmente, riferimento al file audio allegato.

Nulla di particolare da segnalare tranne la raccomandazione di tenere sempre un andamento abbastanza brillante su tutto il brano e - come poteva mancare?   - quella di far risaltare il meglio possibile la melodia del canto.

Grazie per avermi sopportato anche stavolta.

Un e-bbraccio a tutti.

A.A.