di Flavio Cucchi
I miei anni ‘90 si aprono con l’esperienza cameristica più intensa della mia carriera:
El Cimarron di H.W Henze (recital per 4 musicisti) al Teatro Comunale di Firenze.
Ho ripetuto questo programma in seguito con altri organici al Teatro Regio di Torino e al Festival di Montepulciano, ma l’esecuzione piu memorabile è stata la prima per i seguenti motivi:
1. Il baritono in questa edizione era William Pearson, il dedicatario dell’opera.
2. Il teatro ha garantito una decina di giorni di prove seguite da un maestro concertatore, quindi abbiamo avuto tutto il tempo per familiarizzarci molto bene con la partitura e lo strumentario (cosa rara di questi tempi).
3. Abbiamo fatto ben 15 (dico quindici) repliche, e non si è verificata la solita frustrazione di lavorare in fretta come matti per una sola striminzita esecuzione.
4. C’erano i sopratitoli in italiano (si intravedono in alto in questo fermo immagine, giusto per far capire dove stavano), cosi’ il pubblico poteva seguire il testo cantato in tedesco, cosa indispensabile per seguire, comprendere e quindi godere appieno la musica.
5. Il cachet era proporzionale all’impegno.
Non e' un discorso terra terra: i soldi sono simboli di un valore ed è cosa buona e giusta quando l'Arte e la Cultura vengono valorizzati.
Dal punto di vista artistico il Cimarron è un piccolo capolavoro.
Il testo è tratto da un libro dallo scrittore cubano Miguel Barnet basato a sua volta su una intervista fatta negli anni '60 a Esteban Montejo, un africano di 104 anni nato a Cuba in schiavitù.
Uomo di grande carattere, nella sua lunga vita è passato attraverso la fuga, la vita solitaria nella foresta, la guerra contro gli spagnoli fino all'avvento degli americani e della modernità.
Il libro di Barnet è stato adattato in forma teatrale dallo scrittore tedesco Hans Magnus Enzenberger che, adottando la struttura delle antiche forme epiche, ha articolato in “canti” i vari episodi della straordinaria vita di questo singolare personaggio.
Le storie si intrecciano con le sue riflessioni sul mondo, le donne, le macchine, gli spiriti, la gentilezza ecc.
La partitura è per baritono, flauto, chitarra e percussione, ma tutti i 4 musicisti devono suonare anche alcuni strumenti a percussione.
Nella copertina del libretto (davvero ben fatto) dell'edizione fiorentina abbiamo lo schema della scena:
In rosso le postazione dei musicisti.
I simboli rappresentano gli strumenti a percussione
Questa è la foto di una prova in cui possiamo vedere la scena reale.
Al centro il maestro concertatore Giuseppe Mega che coordina la preparazione del pezzo, che prevede anche azioni sceniche e movimenti dei musicisti coordinati dalla regista Caroline de Beus (metto la foto perché ne vale la pena).
Il linguaggio della partitura è di grande interesse e dà soddisfazione ai musicisti che hanno in diversi punti la libertà di esprimersi e di improvvisare.
Infatti, se alcune parti sono misurate,
altre sono più libere: le altezze delle note sono stabilite ma il ritmo è solo suggerito dalla grafica.
Ci sono anche alcune parti solistiche
Notate come la scrittura, che all'epoca chiamavamo “proporzionale”, fosse la stessa usata da Leo Brouwer nelle sue musiche tra gli anni '60 e '70 come la Spirale Eterna, Canticum ecc. ma non c'è da stupirsi: la prima esecuzione del Cimarron è avvenuta nel 1970 al Alderburg Festival e indovinate chi era il chitarrista?... Già: Leo Brouwer.
Ci sono poi episodi in cui il musicista è chiamato a improvvisare facendosi ispirare da segni grafici come questi:
A volte la voce è sola con la chitarra, potete vedere una parte qui:
e a volte il chitarrista dà libero sfogo ai suoi istinti percussionistici o violoncellistici.
Su YT c'è tutto lo spettacolo, purtroppo in bassa definizione.
Per concludere, tra prove e recite sono stati quasi due mesi di full immersion in quest'opera che ci ha molto coinvolto come musicisti e come persone.
Sono stato fortunato ad avere l'occasione di collaborare con artisti così di valore.
L'edizione di Torino
Come avevo anticipato, in seguito sono stato invitato a partecipare a una produzione del Cimarron con un cast diverso al Teatro Regio di Torino.
Molto bravi anche loro, ma...il baritono (Nicholas Isherwood) era un americano bianco e malgrado fosse apprezzabile, non riuscivo a farmelo diventare realistico.
Non era solo il colore della pelle: mi mancava quel particolare timbro di voce che hanno solo i neri. Inoltre avevano scelto una scenografia un po' descrittiva, e io preferivo quella più astratta del Comunale di Firenze.
L' edizione di Montepulciano
Quella di Montepulciano, nell'ambito del Festival fondato da Henze, è avvenuta nel 2000 ed ha avuto come protagonista ancora un baritono di colore: Allan Evans
che ha fatto una ottima esecuzione, ma il punto forte di questa edizione è stata la scenografia, ideata nientemeno che da Jannis Kounellis, il geniale artista precursore e protagonista dell'Arte Povera.
Kounellis, diversamente dal contenitore astratto del Comunale di Firenze o dell'allestimento descrittivo di Torino, aveva giocato sulla tensione emotiva, tensione che noi musicisti senza dubbio percepivamo in modo particolare visto che dovevamo suonare sotto una selva di coltelli da macellaio che pendevano sulla nostra testa.
Kounellis aveva un'aria dimessa e vestiva in modo trascurato.
La prima volta che l'ho visto stava pranzando da solo alla mensa del festival e l'avevo preso per un uomo delle pulizie.
Nel 2014 l'ho incontrato ancora a Firenze, nello studio di Daniele Lombardi e abbiamo ricordato insieme quella bella produzione.
Ramirez.
Guardando foto e video di quegli anni ho ricordato la mia Ramirez del'76 che usavo all'epoca.
Quella chitarra ha avuto una disavventura singolare: per motivi di gelosia un tizio, per vendicarsi, l'ha buttata dalla finestra del terzo piano... solo che ha sbagliato chitarra.
Io quella volta non avevo nessuna colpa!
Malgrado la custodia robusta, l'impatto ha spaccato in due punti il piano armonico ma in senso longitudinale, lungo le venature, così, miracolosamente, il suono non è stato compromesso.
(Continua...)