di Flavio Cucchi
La Scuola di Musica di Fiesole
Già dalla fine degli anni'70 avevo cominciato ad insegnare: prima in una scuola media di Firenze, poi nei primi anni '80 alla Mabellini di Pisa e finalmente alla Scuola di Musica di Fiesole, l'importante centro musicale fondato nel 1974 da Piero Farulli,
violista del celebre Quartetto Italiano.
La Scuola, oggi abilitata a dare il Triennio, si trovava già nella bellissima Villa La Torraccia, nel cuore delle colline Fiesolane, in un contesto paesaggistico davvero meraviglioso.
Avevo conosciuto Piero Farulli negli anni '70 quando mi aveva invitato a suonare nel circuito dei “Concerti Itineranti” e in altre situazioni concertistiche con cui aveva a che fare.
Quanto fermento musicale e culturale c'era in quei tempi! Si suonava tanto e dappertutto…ti imbattevi in personaggi come Berio, Luigi Nono, Petrassi, Stockhausen…la musica contemporanea era davvero contemporanea e si respirava un'aria elettrizzante, difficile da comunicare nel mondo virtuale di oggi. Sono contento di averla vissuta in pieno.
Intendiamoci: mi piacciono molto i computer, internet ecc., ma la vita, le sensazioni e le vere avventure stanno fuori…
Piero Farulli era un personaggio imponente, pieno di energia e determinazione.
La Scuola era la sua creazione e la curava con grande passione coinvolgendo i suoi illustri amici nel campo della cultura e della politica. Essendo parte di uno dei Quartetti più prestigiosi del mondo conosceva la crema dell'ambiente musicale internazionale ed era un tipo che sapeva farsi sentire.
Malgrado la differenza di età e di posizione, tra di noi correva simpatia e mi ha spesso invitato anche in seguito a suonare a importanti festival come l' Estate Fiesolana o i Concerti della Normale a Pisa.
Non ho mai avuto screzi o discussioni con lui malgrado il suo carattere un po' collerico.
A questo proposito ricordo un episodio divertente: in quel tempo c'era la regola che uno studente di Fiesole non poteva presentarsi in un conservatorio per sostenere esami senza il consenso della Scuola.
Un giorno la Direzione convoca una riunione straordinaria: uno studente di viola ha osato fare un esame senza permesso. Siamo chiamati a votare per l'espulsione del reo.
Alzo la mano e chiedo a Piero: “Ma… se votiamo di riammetterlo tu lo riprendi nella tua classe?
E Piero tuona: “MAI!”
Ho sempre avuto un debole per questa scuola e tuttora occasionalmente collaboro con loro.
Proprio ieri (11 novembre '18) ho dato un concerto per la loro stagione
(Qui a Città del Messico con Alirio Diaz e altri)
In quegli anni stava prendendo piede lo stile di Russell, con la mano destra di traverso, suono sempre dolce e omogeneo, tocco volante.
e in gennaio terrò un Master in qualità di “visiting professor”.
L'Istituto Mascagni
Per un giovane musicista di oggi una cattedra in conservatorio è un posto ambìto, difficile da ottenere e da conquistarsi con il coltello: le domande sono così numerose da rendere difficile, malgrado la buona volontà, la correttezza e l'impegno degli esaminatori, stilare graduatorie che non vengano poi contestate a suon di avvocati.
Diversa era la situazione nel 1985, anno in cui ho iniziato ad insegnare nell' Istituto Pareggiato (oggi Istituto Superiore di Studi Musicali) Pietro Mascagni di Livorno.
Ora vi racconto come ho ottenuto il posto.
Me ne stavo nel mio studio di via degli Artisti a Firenze quando squilla il telefono e sento una voce autorevole che chiede di me: si trattava del mitico Prof. Guido Torrigiani, matematico, uomo politico e presidente del consorzio che amministrava l'Istituto Mascagni.
Senza mezzi termini mi chiede se sono interessato ad aprire una cattedra di chitarra a Livorno.
Preso un po' alla sprovvista prendo tempo e fisso un appuntamento per la settimana successiva.
Mi sono quindi recato al conservatorio di Livorno che allora stava in un antico palazzo in via Marradi e ho finalmente incontrato il Prof. Torrigiani, che ho trovato simpaticissimo e pieno di vitalità.
Occhi vivaci e penetranti, aveva il fisico del ruolo dello scienziato: portava i capelli lunghi e si poteva permettere di fare battutacce sulle ragazze senza mai perdere l'aura di autorevolezza e di intelligenza che lo pervadeva.
Ho così aperto la prima classe di chitarra a Livorno nel 1985.
La prima mandata di studenti era composta da persone già grandicelle (alcune adulte) che aspettavano da tempo l'opportunità di fare studi ufficiali nella loro città.
Eccomi con alcuni di loro nel 2016 a festeggiare il mio pensionamento prendendo insieme il mitico ponce alla livornese del Civili.
Nei 30 anni che sono seguiti ho diplomato più di 40 studenti.
Alcuni sono venuti dall'estero (Messico, Austria e Repubblica Ceka), altri, dopo il diploma, sono emigrati all'estero (Spagna, Germania, Francia ecc.)
Alcuni di loro si sono fatti valere come concertisti, altri come compositori, musicologi e ricercatori; alcuni hanno aperto delle scuole di musica, altri si sono poi dedicati alla musica antica, alla musica elettronica o (perché no?) alla musica leggera.
Non tutti gli studenti vogliono o possono fare i concertisti di chitarra classica: la creatività si può esprimere in tanti modi… comunque sia la quasi totalità dei miei studenti vive e opera nel campo della musica e questo per me è un fatto positivo.
Insegnamento
Insegnare, come qualsiasi attività, si impara con l'esperienza: in quegli anni nessuno aveva studiato didattica e ognuno faceva a modo suo.
All'inizio andavo a braccio cercando di insegnare la tecnica che conoscevo insieme alla visione coloristica della chitarra che tuttora ho, ma non avevo un chiaro progetto di un percorso didattico, anche perché la scuola di Company da cui provenivo era una specie di laboratorio sempre in divenire.
Andando avanti negli anni mi sono chiarito sempre più le idee su cosa e come insegnare e mi
sono fatto l'opinione che si debba trovare un equilibrio tra un percorso predeterminato uguale per tutti e uno spazio in cui l'allievo trovi le sue soluzioni, possa sviluppare la propria personalità come musicista e la sua personale tecnica.
Controllo
Mentre scrivevo queste righe ho realizzato che suonare e insegnare hanno una problematica in comune: la quantità di controllo che si vuol esercitare.
Quanto controllo vuoi avere quando suoni? Se vuoi il 100% farai una esecuzione impeccabile ma fredda, perché si tratterà di una ripetizione pappagallesca di un percorso studiato al millimetro. Non so voi, ma quando ascolto questo tipo di interpreti vengo immediatamente preso da una sgradevole sensazione di noia e comincio a pensare ai fatti miei.
Dove va a finire l'emozione dell'esecuzione dal vivo? Come fai a comunicare se ti limiti a ripetere un percorso programmato stando in una campana di vetro?
A volte facendo masterclass mi imbatto in studenti che hanno la partitura piena zeppa di segni espressivi e dinamici per ogni singola frase…questo obbliga a un tipo di studio che non lascia nessuno spazio a quella sensazione di libertà, di immediatezza e sincerità che poi diventa l'onda portante della comunicazione con chi ascolta.
Ho già scritto altrove questo mio punto di vista (vedi “il declino dell'estro" http://www.flaviocucchi.com/flaviocucchi/it/articoli ) e recentemente un collega mi ha passato questa citazione di André Gide che spiega bene il concetto.
Attenzione! Non voglio dire che si debba suonare sempre rubato o fare pacchiane stramberie, dico che si dovrebbe conoscere il pezzo così bene da potersi permettere di lasciare uno spazio incontrollato per poter introdurre nuove sfumature interpretative suggerite dall'estro del momento facendo così vivere la musica sempre in maniera nuova, come se fosse eseguita per la prima volta.
Naturalmente l'estro non si può insegnare, ma lo si può facilmente soffocare se non si permette allo studente talentuoso di avere il proprio spazio per coltivarlo.
Il discorso del controllo quindi vale anche nell'insegnamento: data una solida conoscenza tecnica e teorica si dovrebbe lasciare all'allievo una percentuale di libertà perché possa adattare alle sue mani i princìpi tecnici e sviluppare la sua personale visione della musica che sta suonando.
Oggi grazie all'esperienza delle generazioni precedenti e alla possibilità di ottenere grandi quantità d'informazioni sono nate delle scuole molto ben organizzate e standardizzate che producono studenti con un livello tecnico mediamente molto più alto rispetto a quando ero studente, ma al prezzo di un appiattimento dell'aspetto artistico.
A volte nei concorsi basta vedere il modo con cui un giovane si mette a sedere, sistema la mano destra e assume la solita espressione ispirata per capire da quale scuola proviene…
Ho scoperto che questo appiattimento dell'aspetto artistico legato allo sviluppo tecnico è lamentato anche nel Jazz e perfino nello sport! Deve essere un segno di questi tempi.
Da evitare!
In giro per il mondo, nel campo della chitarra (ma penso che accada in qualsiasi ambito artistico) mi sono imbattuto a volte in Gran Sacerdoti che elargivano “verità assolute” al loro impaurito seguito.
Questo può succedere particolarmente nel campo artistico perché è un ambito in cui le opinioni sono sostenute solo in piccola parte da fatti reali e in grandissima parte dal gusto (e dalla prepotenza) di chi le esprime.
E' impossibile dimostrare veramente che un tipo di suono è meglio di un altro o che una musica è bella o brutta. Al massimo si può spiegare perché ci piace o no o perché è scritta bene o male in relazione a certi standard, ma imporre il proprio gusto agli altri in base alla propria opinione non è altro che un tentativo di prevaricare il prossimo.
In passato ho incontrato diversi piccoli dittatori un po' in tutto il mondo, in Germania, Inghilterra, USA, Messico, Asia (e non mancano nemmeno in Italia.)…
Quando li vedi li riconosci: in genere sono serissimi e pieni di sussiego, come se avessero fra le mani il sacro Graal e sono circondati dai loro accoliti che ti guardano con malcelata ostilità (quando non ti lanciano disperate richieste di aiuto).
Lui ti tratta con gelida cortesia ma pensa: “tu sarai anche un famoso chitarrista italiano ma qui comando io. Tutto quello che farai in modo diverso da come lo concepisco io sarà considerato una eresia, un errore gravissimo, un peccato imperdonabile, inconcepibile, insanabile ecc.“
A volte ho fatto fatica a trattenermi dal ridere!
Credo che sia impossibile non influenzare affatto i propri allievi (specialmente se sei un concertista in attività) ma personalmente non ho mai voluto aver “seguaci”: mi piacciono le persone libere e creative e se riconosco tutte le mie pecche, mancanze ed errori del passato come insegnante (spesso preso dall'attività concertistica), spero di aver passato ai miei allievi tre cose importanti: il piacere di suonare, l'intenzione di comunicare emozioni con la musica e
la capacità di distinguere i fatti dalle opinioni, difendendo così la certezza del proprio gusto e la libertà nel manifestarlo.
Poi ci sono le mode.
Ogni tanto un musicista che ha successo viene imitato da molti e diventa un “si deve fare così”.
E' una cosa naturale (quando ero giovane il modello era Segovia), ma quando lo stile di un artista diventa “accademia” perde di vita e si trasforma in una serie di regole che finiscono per creare idee fisse e intralciare la libertà e a volte anche il buon senso.
Mi è venuto in mente un episodio buffo: negli anni '90 ho tenuto una masterclass a Città del Messico.
(Qui a Dublino con David Russell)
Uno studente che partecipava al corso mi ha avvicinato in un intervallo e mi ha chiesto angosciato: “…è vero che non si può più usare il tocco appoggiato?”
Io non ho resistito alla tentazione, l'ho guardato serio negli occhi dicendo: “Certo.
Dalle 12.00 del 20 aprile scorso il tocco appoggiato è stato abolito! Attento a non farti beccare!”
Poi naturalmente gli ho spiegato che, visto che le mani e la chitarra erano di sua proprietà, ne poteva fare l'uso che voleva.
Al pubblico non importa nulla se tieni la mano dritta o di traverso, né se hai fatto una scelta interpretativa filologica o no e per quale motivo: questi sono affari di chi suona che riguardano la sua personale integrità artistica e di cui si assume la responsabilità.
Chi ascolta vuole sentire principalmente quel tipo speciale di emozione che solo la musica può dare, senza il quale tutto il resto perde di significato ed è giusto così.
Stai provando a crearlo?
(Continua...)