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CUCCHI


Pag.6 - Obbligato (anni '76- '78)  

La pagina di Flavio Cucchi

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di Flavio Cucchi


La Leva


Tornato in Italia era lì che mi aspettava nella posta: la temibile “cartolina”.

Voi ragazzi non sapete di cosa sto parlando, ma i miei coetanei avranno già capito che si trattava della cartolina precetto che mi “invitava”, pena la galera, a presentarmi in caserma per il servizio militare.

Ora: per il tipo di vita che avevo fatto negli ultimi 10 anni, niente era così lontano dal mio universo che essere inquadrato in una situazione di disciplina militaresca insieme a centinaia di coetanei che (…orrore!) erano persone “normali”.

Non volendo presentarmi in caserma con i capelli che mi arrivavano alle spalle ho pensato di accorciarli: gli amici mi hanno organizzato una festa a Roma, vicino a fontana di Trevi dove è avvenuta la “tonsura”

Visto che, data l'ideologia e la coscienza sporca non avevo voluto fare l'ufficiale, mi sono trovato ad Ascoli Piceno in mezzo a centinaia di ragazzi di tutta Italia dal livello culturale piuttosto  basso, le cui letture andavano dai giornalini porno ai fumetti e le conversazioni spaziavano dal calcio alla…beh, quella là.


Io, che mi identificavo strettamente con il personaggio (il chitarrista dai  capelli lunghi, il look indianeggiante, libero dalle convenzioni sociali e con un discutibile passato pop-psichedelico), insomma il massimo dell'individualismo, mi sono ritrovato coi capelli rasati e vestito uguale a centinaia di altri a cui della chitarra classica e delle belle ideologie di libertà non importava nulla.


C'era da aspettarsi un crollo, invece mi è successa una cosa che non mi sarei mai aspettato: mi sono sentito magnificamente libero. Al momento non ho fatto speculazioni sulla cosa ma ora posso dire che identificarsi con un personaggio, anche se vincente, può diventare una trappola micidiale.

Liberato dall'immagine che avevo di me, mi sono sentito più “io” di prima, e mi sono successe cose strane, come se avessi acquisito un senso in più.


Ma non voglio uscire troppo dal seminato: tutto sommato il periodo dell'addestramento mi ha divertito, mi piaceva fare il tiro a segno col Garand, i percorsi di guerra ecc… era come tornare bambini e giocare alla guerra, tanto nessuno prendeva la cosa sul serio.

Il Capitano era un musicofilo e presto mi ha assegnato una stanza tutta mia per poter studiare.


Mi è andata peggio quando, finito l'addestramento, sono stato spedito al reggimento dei missili contraerei.

Poi qualche santo mi ha aiutato e sono stato trasferito a Firenze dove avevo una nuova ragazza. Tutte le notti scappavo dalla caserma per stare con lei, così da meritarmi, una volta beccato, alcuni giorni di cella.


Anche il servizio militare doveva finire e presto mi sono ritrovato nella modalità chitarrista.

Mi sono diplomato e ho cominciato a guardarmi intorno.

Arrivati alla registrazione dell'ultima puntata mi ha regalato due stampe dell'800 che ho poi incorniciato e stanno ancora sulla pareti di casa mia.

L'ultima volta che ho visto Paolo Poli è stato nel 2015, un anno prima che morisse.

Era sulla porta di un ristorante, ancora elegante e ancora con la schiena diritta malgrado l'età avanzata.


Si ricordava vagamente della nostra collaborazione, aveva cessato l'attività di teatro ma aveva un qualche progetto con una musicista del Comunale, chissà…

Aveva l'aria un po' stanca e si sentiva che la vita non lo divertiva più.




































(continua)



Nei primi d'anni successivi al servizio militare e al diploma, non mi sentivo ancora un chitarrista classico, non avevo ancora una sufficiente esperienza concertistica e il tempo passato nell'ambiente pop era troppo vicino. Mi sentivo un chitarrista, aperto a qualsiasi esperienza musicale che mi fosse piaciuta e questa posizione, del resto, è quella che ancora mi piace di più.


In quel periodo, data la mancanza di internet che, come ho già detto, ha davvero cambiato il mondo, non ero consapevole di altre scuole chitarristiche in Italia e tantomeno all'estero.

La Cina comunista e il blocco sovietico erano impenetrabili, il Giappone troppo lontano, e del resto del mondo si parlava, a parte Segovia,  solo di  Bream, Williams, Parkening, Yepes, Lagoya e pochi altri.


Sapevo dell'esistenza di Mario Gangi a Roma per le sue apparizioni in TV, di Ruggero Chiesa a Milano per le sue pubblicazioni, ma non avevo la minima idea di cosa facessero, non c'era nessuna comunicazione o scambio di idee con altri chitarristi e ognuno stava nel proprio ambito.

Solo alla fine degli anni '70 mi sono affacciato al mondo chitarristico internazionale e mi sono confrontato con chitarristi di altre scuole, come vedremo in seguito.

URSS


Nel 1977 sono stato invitato con altri musicisti, sportivi e uomini di cultura per uno scambio culturale Firenze - Kiev.


Kiev all'epoca si trovava in Unione Sovietica ed ho avuto così la rara occasione di mettere piede al di là della cortina di ferro (che fu smantellata solo 12 anni dopo).

Negli anni '70 in Italia la cultura era saldamente nelle mani del Partito Comunista Italiano che in verità si comportava bene valorizzando la musica classica con i famosi “concerti decentrati”, la musica contemporanea, il Folk e i giovani concertisti.


Io non mi sono mai schierato politicamente perché pur riconoscendo i meriti del PCI in questo settore e gli argomenti umanitari della Sinistra, diffidavo delle ideologie ed ero troppo individualista per farmi coinvolgere da quella politica. Il pensare alle persone in termini di “masse” mi dava un senso di repulsione.


Tra i musicisti della delegazione italiana oltre a Paolo Paolini c'era il nuovo gruppo di musica Folk di Caterina Bueno, che comprendeva anche Francesco Giannattasio detto Bubù, ex componente del celebre Canzoniere del Lazio, gruppo star del folk italiano anni '70.

I ragazzi del gruppo, schierati a sinistra politicamente, erano molto contrariati dal sentirsi controllati strettamente come potenziali nemici: di fatto non potevamo fare un passo che non fosse deciso dai nostri interpreti accompagnatori (che probabilmente erano del KGB) e avevamo un programma giornaliero che non lasciava nessuna libertà.


Ricordo alcune battute del simpaticissimo Bubù:

“voglio fare un giro per la città”

Interprete: non possibile...Italiansky Delegatsija...

“Delegatsi vostri!!!”

Oppure, invitato a improvvisare in ottava rima ha declamato:

“Qua nun se ride manco cor solletico…

Evviva il grande popolo sovietico…”


Mitica anche la scenata di Paolini quando volevano cambiare il titolo del “Souvenir de Russie” di Sor in “Souvenir dell'Unione Sovietica”.


Comunque, l'impressione del mondo sovietico non era positiva: si sentiva la mancanza di leggerezza e di estetica. L'arte, l'architettura erano pesanti, i palazzi grigi e anonimi, mancava l'estro e la creatività che può nascere solo da persone relativamente libere e si percepiva un senso di oppressione.

Mi è venuto in mente un episodio curioso: ci stavamo muovendo per la strada in visita guidata quando sono stato avvicinato da un uomo.

Io, come membro della delegazione Italiana di Firenze avevo all'occhiello una spilla a forma di giglio di Firenze. Quest'uomo mi faceva capire a gesti che desiderava quella spilla e mi offriva in cambio una sua spilla con l'immagine di Lenin.


L'uomo, come tutti gli altri, indossava un anonimo vestito grigio come da noi andavano 20 anni prima ed evidentemente desiderava possedere qualcosa di diverso, qualcosa che veniva dal mitico mondo occidentale che loro non potevano in nessun modo contattare.

Recentemente sono stato a suonare diverse volte in Russia.

Le cose sono molto cambiate e si saranno resi conto che non è tutto oro quel che luccica…

Paolo Poli


A Firenze a quel tempo ero già abbastanza conosciuto, così un giorno sono stato chiamato dalla RAI (Radio 3) per una collaborazione con Paolo Poli in una specie di storia romanzata a puntate sul tema dell'antica famiglia Pallavicini.


Il mio compito era di scrivere ed eseguire una semplice struttura musicale che ospitasse dei versi che Paolo Poli avrebbe cantato come cantastorie per riassumere le puntate precedenti o per fare da ponte alle varie situazioni.


Paolo Poli era un personaggio d'altri tempi. Un vero signore, colto, elegantissimo, schiena diritta, spiritoso, viveva la sua omosessualità apertamente ma con grande leggerezza e senza nessuna volgarità.


Mi chiamava “il maestrino”, ed era molto facile lavorare con lui, aveva un carattere molto piacevole, mi metteva a mio agio e seguiva i miei consigli sulla parte musicale senza difficoltà.