di Flavio Cucchi
Negli ultimi anni '70 grazie al direttore d'orchestra Piero Bellugi, di cui parlerò in seguito, ero diventato il chitarrista di riferimento del Teatro Comunale di Firenze, cosa che mi ha permesso di fare interessanti esperienze artistiche e professionali.
Il Teatro Comunale di Firenze
Venivo invitato quando serviva la chitarra in orchestra.
A volte si trattava di parti elementari, come nel “Barbiere” o nel “Falstaff” ma comunque mi davano l'occasione di suonare inserito in una compagine orchestrale e osservare da vicino grandi direttori come Giulini,
Bartoletti, Panni, lo stesso Bellugi e altri.
Inoltre ho imparato a seguire il direttore d'orchestra, intuirne gli “anticipi” e capire le sue intenzioni, cosa che mi è stata utile in seguito.
Non sempre però la chitarra faceva cose semplici e a volte era in scena: ricordo in particolare la produzione del Wozzek di Berg sotto la direzione di Bruno Bartoletti e la regia di Liliana Cavani, che all'epoca era diventata famosa per alcuni film di successo (Il portiere di Notte, Al di là del bene e del male ecc.).
In quell'opera agghiacciante (questa è una foto di quella produzione fiorentina del '79) il chitarrista suona in palcoscenico in un piccolo gruppo di strumentisti nella scena della taverna.
Ricordo questa opera anche per un motivo extramusicale: la Cavani si era messa in testa che per quella scena avrei dovuto tagliarmi i capelli.
Naturalmente non ne volevo sapere, così dopo un po' di tira e molla abbiamo trovato un accordo: prima di ogni recita dovevo passare
Personalità carismatica, dotato di grande classe, mi incantava con il suo bellissimo suono e soprattutto con il suo fraseggio davvero inconfondibile per la fluidità e chiarezza di intenzioni.
Desideravo perfezionarmi con lui e nell'agosto del '79, reduce da una vacanza alle Eolie e così abbronzato da essere scambiato per un africano, mi sono presentato a Siena, per sostenere l'audizione alla bellissima e prestigiosa Accademia Chigiana.
dal “Trucco e parrucco” a farmi sistemare e nascondere i capelli lunghi sotto un cappello.
Con questi interventi mi ero guadagnato la fiducia della direzione del teatro che ha iniziato ad invitarmi anche nelle stagioni cameristiche e sinfoniche, affidandomi in seguito parti in opere più impegnative come il Cimarron di Henze e altre opere di autori contemporanei.
Ricordo ad esempio la parte per chitarra nel concerto per flauto di Petrassi che ho eseguito con il dedicatario dell'opera: Severino Gazzelloni, il celebre “Flauto d'oro” star del flautismo mondiale.
Mi piaceva, per cambiare, suonare all'interno di una organizzazione imponente che coinvolgeva centinaia di persone, orchestra, coro, cantanti, scenografi, operai ecc., ho imparato e visto tante cose interessanti e anche un po' grottesche, come la eccessiva sindacalizzazione degli orchestrali.
La scena internazionale della chitarra classica
Nel '79 ho deciso di conoscere meglio il mondo della chitarra classica.
Fino ad allora avevo suonato in festival cameristici o nei teatri e confesso di aver avuto, all'epoca, una certa diffidenza verso gli ambienti prettamente “chitarristici”, che mi sembravano ristretti e provinciali.
Riguardo ai concorsi avevo una diffidenza ancora maggiore: all'epoca gli unici concorsi di cui si sentiva parlare erano quelli di fisarmonica, che sfornavano improbabili “campioni mondiali”. Mi sembravano cose da circo.
Naturalmente c'era anche il Premio Paganini per i violinisti e il Concorso Chopin per i pianisti, ma questi avevano un'aura di prestigio irraggiungibile per la chitarra.
In quegli anni i concorsi internazionali di chitarra erano pochissimi: in Italia c'era solo Alessandria, Gargnano e Roma, più alcuni nazionali più specifici come il Concorso di musica contemporanea di Lecce (presieduto però da Goffredo Petrassi).
Ho pensato di iscrivermi ai corsi di Oscar Ghiglia all'Accademia Chigiana di Siena e di provare a partecipare a qualche concorso.
L' Accademia Chigiana di Oscar Ghiglia
Se Alvaro Company, come ho già detto, aveva una grande autorevolezza come musicista (era l'unico chitarrista che stava nei salotti buoni della musica insieme a personaggi come Sylvano Bussotti ecc.) per un problema ad una mano non aveva potuto sviluppare una carriera importante come concertista.
Ghiglia invece era uno dei pochi chitarristi italiani (forse l'unico) riconosciuto come star del concertismo mondiale.
Per l'occasione ho suonato la cadenza del Concerto di Villa Lobos e mi sono sentito subito in sintonia con il Maestro, che mi ha ammesso al corso e con cui ho poi studiato per 2 anni sia a Siena che a Gargnano, dove teneva un corso in autunno.
La Chigiana era un ambiente molto stimolante grazie all'alto livello degli studenti che venivano da tutto il mondo e dalla presenza di mostri sacri della musica classica mondiale.
Era quello un periodo in cui tutte le cose mi andavano bene e senza fare alcuno sforzo: per esempio, la settimana prima di partire per Siena mi trovavo ad un pranzo con un noto avvocato musicofilo e persone del suo entourage.
Come spesso capitava in quelle occasioni, mi hanno chiesto di suonare per loro, cosa che ho fatto volentieri e quando hanno saputo che sarei andato a studiare a Siena una signora della compagnia, che non avevo mai conosciuto prima, mi ha dato tranquillamente le chiavi del suo attico di fronte alla Chigiana!
Avere un appartamento tutto mio vicino all'Accademia si è rivelato comodissimo sia per lo studio che per le, diciamo così, relazioni sociali.
Nelle lezioni di Ghiglia non si parlava mai di tecnica.
Tutto era incentrato sulla comprensione del testo e sull'interpretazione.
La comprensione del testo non era basata solo sulla fredda analisi dello spartito, ma sulla scoperta del “senso” delle frasi alla ricerca della giusta intenzione da comunicare.
Questa è stata una grande lezione per me: avere le idee chiare su quello che si sta “dicendo” e comunicarlo con efficacia è la qualità n°1 di un interprete e la bravura tecnica deve servire a realizzare proprio questo.
Certamente il virtuosismo in sé può creare un effetto, questo è innegabile, ma si tratta di un effetto di stupore e ammirazione simile a quello che si prova di fronte a un bravo giocoliere, e mi sembra riduttivo rispetto alla gamma e la profondità di emozioni che può suscitare un bravo musicista.
In questo senso Ghiglia è un grande didatta e non a caso, dopo 39 anni dal momento di cui sto parlando tiene ancora affollatissimi corsi nella stessa Chigiana, portando avanti l'eredità di Segovia.
I corsisti
Per la prima volta mi sono confrontato con chitarristi di altre scuole e nazionalità, tutti bravi ma con tecniche diverse e diversi background (molti di loro sono diventati affermati concertisti).
Ricordo in particolare la prima volta che ho sentito suonare Stefano Grondona.
Stava eseguendo una Sarabanda di Bach e aveva staccato un tempo molto lento per i miei gusti, ma aveva una tale intensità e autorevolezza, malgrado l'età, che lo rendeva molto convincente.
Mi sembrava che prendesse ogni singola nota e la posasse nel tempo, con tutta calma, esattamente dove aveva deciso di metterla.
Era un modo di suonare così diverso dal mio (io suonavo in modo più istintivo e meno riflessivo) che mi ha colpito profondamente. Ecco una foto fatta proprio alla Chigiana con Stefano e la chitarrista greca Olga Kalogriadou.
I corsi della Chigiana erano affollatissimi e una volta la sala era così piena di uditori che ho dovuto stare in un angolo in cui vedevo solo una parte del palco.
C'era un chitarrista che suonava molto bene ma mi sembrava impossibile fare quello che stava facendo, così mi sono spostato per vedere meglio ed ho scoperto che erano due! Era la prima volta che vedevo Lucio Matarazzo, che all'epoca suonava con Mario Fragnito.
Ruggero Chiesa
In quel tempo alla Chigiana e a Gargnano Ruggero Chiesa teneva corsi di Trascrizione da intavolatura.
Docente al Conservatorio di Milano, Chiesa era un'autorità per le sue numerose pubblicazioni di musiche dell'800 per la Suvini Zerboni e per la rivista Il Fronimo da lui fondata e diretta dal 1972.
Era un vero signore, sempre misurato, elegante nell'esprimersi, deciso ma leggero nello stesso tempo.
Ho un debito di riconoscenza con Ruggero Chiesa: all'epoca non conoscevo l'ambiente chitarristico internazionale e non avevo idea se il mio modo di suonare sarebbe stato apprezzato in quell'ambito.
Ricordo che un giorno Chiesa mi ha preso da parte e con i suoi modi delicati, mi ha fatto capire che “me la potevo giocare” e mi ha incoraggiato a fare qualche concorso importante.
In seguito siamo diventati amici e quando suonavo a Milano mi ospitava nel suo bell'appartamento milanese e quando si trovava a Firenze era gradito ospite in casa mia.
Questa è una foto scattata a Gargnano con Oscar Ghiglia e Ruggero Chiesa
(continua)