di Flavio Cucchi
Dal 1° novembre del 2016 mi sono ritrovato in “pensione di vecchiaia” dal conservatorio di Livorno dove ho insegnato per 30 anni.
La cosa mi ha lasciato perplesso: non mi ero accorto di essere vecchio, ma se sta scritto su quei documenti deve essere vero.
Anche se l'attività concertistica e di produzione musicale è sempre stata per me in primo piano rispetto all'insegnamento (i miei ex allievi mi scuseranno per questo), la chiusura di un ciclo tutto sommato importante e durato così a lungo mi ha in qualche modo spiazzato e ho deciso di prendermi una piccola vacanza prima di partire con i prossimi progetti (il nuovo CD con musiche di Chick Corea, la pubblicazione sulle piattaforme internet di nuove registrazioni e, più avanti nell'anno, concerti in USA e Asia).
Si dice che prima di morire si vede la propria vita scorrere in un lampo. Non so se sia vero, ma la perdita di un ruolo “indossato“ per 30 anni mi ha naturalmente portato a fermarmi un attimo e voltarmi indietro per rendermi conto, almeno per un po', di quello che è successo a me e al mondo della chitarra negli ultimi…vediamo un po'…63 anni!
L'amico Lucio mi ha chiesto in diverse occasioni di scrivere qualcosa per DotGuitar e allora ho pensato di mettere insieme le cose e raccontare al pubblico del sito, che immagino composto prevalentemente di giovani chitarristi, l'evoluzione della chitarra e del suo mondo dagli anni '50 ad ora vista attraverso i miei occhi.
Non è uno studio o una ricerca quindi mi scuserete se sarò costretto a parlare di me stesso.
Gli anni '50
Anche se non ho una buona memoria, ricordo perfettamente la prima volta in cui ho sentito suonare una chitarra classica.
Non avevo ancora compiuto i 5 anni, quindi doveva essere intorno al 1954
Prima di cominciare, vorrei farvi il quadro della situazione di quegli anni, visto che voi nativi digitali non la potete immaginare.
Bene: in quegli anni non esistevano cellulari, computer, internet, social network, fotocopiatrici. Le macchine fotografiche erano rare, il telefono si vedeva solo nelle case dei ricchi.
Le notizie viaggiavano solo per radio e c'erano solo 3 canali a disposizione, (La TV comincia a trasmettere proprio nel '54 solo alcune ore al giorno ma chi aveva il televisore?), c'erano ancora le locomotive a vapore, non c'era l'autostrada del sole, gli aerei andavano a elica e solo i VIP li usavano. Nessuno, a parte gli emigranti e i ricchi, viaggiava e la vita era sostanzialmente stanziale, almeno per il ceto proletario a cui appartenevo.
I rapporti fra generazioni erano assai diversi, per fare un esempio, a scuola quando entrava la maestra ci alzavamo in piedi e in coro salutavamo: “Riverisco signora maestra.”
A quel tempo tutti i bambini nei primi anni di vita si prendevano le malattie infettive: il morbillo, la scarlattina, la varicella e, se erano sfortunati, la poliomielite.
Torniamo allora al 1954. Me ne stavo nel mio lettino, a Verona, dove abitavo, malato di morbillo quando mio padre mi presentò il signor Bertelli, un sarto appassionato di chitarra classica. Mio padre amava molto la musica, poteva strimpellare la chitarra, suonare l'armonica, cantare e fischiare molto bene e da quando avevo 3 anni mi insegnava a cantare le romanze famose.
A quei tempi in un quartiere popolare nessuno aveva un grammofono e solo con la radio si poteva ascoltare a volte un po' di musica, quindi la gente sopperiva al bisogno di musica facendosela da se': le donne cantavano mentre lavavano i panni, gli uomini fischiavano mentre andavano al lavoro in bicicletta e chi era bravo veniva apprezzato perché veramente dava piacere agli altri.
A volte mi domando se fosse meglio quella situazione o quella presente, dove gratuitamente in streaming possiamo ascoltare in ogni momento tutta la musica del mondo…certamente le cose hanno più valore e sono più apprezzate quando sono scarse, (purtroppo per i musicisti di oggi)…
Torniamo al Signor Bertelli, uomo elegante, profumato e dall'aria meticolosa.
Si era portato dietro la sua chitarra, che era una Piretti, strumento molto apprezzato all'epoca.
Ricordo vivamente l'effetto fascinoso di quel suono dolce e mutevole e posso ancora risentire con la mente le musiche che suonò: Feste Lariane di Mozzani e un brano che 20 anni dopo ho riconosciuto come un Capriccio di Legnani.
Rimasi affascinato e per il mio 5° compleanno ebbi in regalo da mio padre una chitarra Masetti.
All'epoca non c'era la chitarra in conservatorio e in ogni caso sarei stato troppo giovane quindi mio padre mi mandò a studiare con il maestro più popolare di Verona: il mitico Augusto De Mori, il maestro che ha insegnato a suonare a tutti i veronesi dell'epoca.
De Mori insegnava chitarra, fisarmonica, pianoforte, violino, contrabbasso, teoria e aveva anche un banchino di frutta e verdura al mercato (altri tempi…)
Qui lo vediamo in una foto di gruppo.
Io sono in prima fila in centro, e il M° De Mori si trova seduto alla mia sinistra, accanto al noto M° Tagliavini.
La tecnica all'epoca era piuttosto essenziale: si teneva la mano destra perpendicolare alla cordiera, forse copiando la foto di Tarrega,
forzandola un po' a destra, creando così una certa rigidità, le dita erano strette e il movimento partiva dalla 2 e 3° falange.
La mano sinistra doveva essere perpendicolare alla tastiera, le dita “a martello” e il pollice non doveva sporgere. Questo era tutto.
La tecnica giornaliera consisteva in semplici arpeggi ed esercizi cromatici: si piazzava 1,2,3,4 sulla sesta corda si scendeva e risaliva longitudinalmente poi si passava sulla quinta corda ecc., oppure si faceva una scala cromatica rimanendo in prima posizione passando da una corda all'altra, e poi si faceva lo stesso in seconda posizione fino alla nona ecc.
Quanta strada ho fatto sulla tastiera dai 5 ai 10 anni!
Ripensandoci, anche se gli esercizi erano semplici, il coordinare la destra e la sinistra, il ripetere molte volte i movimenti essenziali, cambi di posizione, cambi di corda, a quella giovane età hanno fatto sì che non ho mai più dovuto fare esercizi di tecnica per il resto della mia vita.
Alla fine degli anni '50 ho cominciato a tenere i primi concerti.
Il mio repertorio consisteva in Preludio in re min. di Bach, Asturias, Feste Lariane, El Vito e Jota di De Aspiazu e l'immancabile Giochi proibiti, di cui ho recentemente ritrovato lo spartito su cui l'ho studiato.
A volte suonavo da solo, a volte inserito in questi abnormi ensemble, in questo caso di chitarre e fisarmoniche che, corsi e ricorsi, sono tornati di moda.
(continua)