di Flavio Cucchi
Da quando ho deciso di tagliare i ponti con l'ambiente del pop a quando ho iniziato il conservatorio deve essere passato un anno o giù di lì.
A dire il vero ho i ricordi un po' confusi su quel periodo di transizione.
E' certo che chi mi ha traghettato dallo Space Electronic al Conservatorio Cherubini di Firenze è stato uno dei primi diplomati di Alvaro Company: Vincenzo Saldarelli, che mi ha preparato per l'esame di ammissione.
Entrare in un conservatorio come studente, dopo gli anni turbolenti che avevo vissuto, mi ha fatto l'effetto di passare da una manifestazione di piazza a una stanza insonorizzata.
Gli anni '70
Nei primi anni '70 abitavo a Firenze in via Tosinghi, vicino a piazza Duomo.
Già da diversi anni vivevo per conto mio, allora non era difficile trovare case da affittare, e ne avevo già cambiate 3 prima di trasferirmi nel grande appartamento, un po' decadente in verità, di un palazzo del '300.
C'erano due camere, un grande salone, la cucina e un bagnetto piccolo.
Visto che dati i miei trascorsi di chitarrista pop ero conosciuto da molta gente, si era formata a casa mia una corte dei miracoli frequentata da tipi di ogni genere che si trattenevano anche per mesi.
A volte il salone era pieno di gente che dormiva nei sacchi a pelo.
In quegli anni magnifici e terribili, sembrava che improvvisamente un'intera generazione si fosse resa conto che qualcosa non andava nella società, che la vita era qualcosa di più del mangiare, lavorare, fare figli e andare in pensione, e gli individui più vitali volevano fare qualcosa per cambiare la scena.
In questa classe di ragazzi più attivi c'erano però 4 categorie: i creativi, i mistici, gli idealisti e i criminali.
Il problema era che il confine tra le categorie, specialmente tra la 3 e la 4, era molto labile e questo poteva creare dei guai.
C'era un continuo viavai di sconosciuti che si presentavano come amici di amici di amici di passaggio da Milano a Roma e suonavano alla porta a qualsiasi ora del giorno o della notte chiedendo ospitalità.
A volte ho sudato freddo, come quando uno sconosciuto con l'aria decisa mi ha chiesto di tenergli un pacco per qualche giorno (Esplosivo? Armi? Eroina?).
Ma il più delle volte erano piacevoli incontri, persone interessanti che cercavano qualcosa nella vita e ragazze di passaggio profumate di patchouli. Era un periodo di libertà illimitata.
Per un certo tempo, senza nessun motivo, ho vissuto di notte. Mi alzavo alle 16 e andavo a dormire alle 8.
Non so come ho fatto, ma in questo variopinto contesto sono riuscito a frequentare il conservatorio, imparare la nuova impostazione sulla chitarra, preparare qualche esame all'Università, (cosa che mi serviva per rinviare il servizio militare) e a guadagnarmi da vivere suonando con una star della musica Folk: Caterina Bueno.
Con lei ho fatto moltissimi concerti in tutta Italia.
Suonavamo per i Festival dell'Unità, festival di musica Folk, e anche in RAI.
Abbiamo inciso un disco per la Fonit Cetra che è stato in seguito ripubblicato in un doppio CD dalla Warner.
Questa foto è stata scattata proprio oggi, (25 giugno) durante la festa per gli 86 anni del M° Company.
(continua)
Mi è venuto in mente un episodio di allora: mentre ero a Roma alla Fonit Cetra, in un intervallo tra le registrazioni è entrato in studio Claudio Villa.
Per i ragazzi della mia generazione, specialmente per gli “alternativi” come me, Claudio Villa rappresentava il simbolo della tradizione più trita della canzone melodica italiana e ne avevo sempre detto peste e corna.
Quando me lo sono trovato davanti, in tuta da motociclista, un tipo simpatico e pieno di vitalità, mi sono vergognato dei miei giudizi feroci.
Ascoltandolo ora devo riconoscere che era un cantante coi fiocchi nel suo genere.
Il Conservatorio - Alvaro Company
Nella classe del M° Company si respirava aria di modernità.
Anche gli studi più elementari, di sua composizione, erano atonali e ci familiarizzavano fin dall'inizio con i linguaggi contemporanei.
Gli allievi già diplomati erano a loro volta dei musicisti molto preparati e colti: Paolo Paolini, che aveva inciso un disco in duo con Company scriveva saggi e pubblicava edizioni di musica antica, il già citato Vincenzo Saldarelli era a sua volta compositore, e così Alfonso Borghese (che sarebbe diventato anche direttore d'orchestra).
Proprio in quel periodo Saldarelli, Borghese e Roberto Frosali fondarono il Trio Chitarristico Italiano, forse il primo trio di chitarre di spessore internazionale, dedicatario di molte composizioni contemporanee.
Company era un personaggio molto carismatico, un compositore, un intellettuale, un ricercatore che poco assomigliava alla solita figura del chitarrista.
Faceva parte del “Gruppo dei Sei” (la Schola fiorentina), gruppo di compositori dalla scuola di Dallapiccola fondato negli anni '50 insieme a Sylvano Bussotti, Carlo Prosperi, Arrigo Benvenuti, Reginald Smith Brindle e Bruno Bartolozzi.
Come chitarrista era stato allievo di Segovia, da cui aveva tratto spunto per la sua teoria
sull'impostazione della mano destra.
Qui sotto lo vediamo alla destra di Segovia. Alla sinistra sta il già citato Bruno Bartolozzi, famoso per il suo trattato New sounds for Woodwinds sui suoni multipli.
In seconda fila, tra le due ragazze ci sono io.
Ricordo che in occasione di quella visita venni invitato a suonare per l'illustre ospite.
Segovia stava seduto su una specie di trono, con il suo bastone dal pomo d'argento in mano e metteva una terribile soggezione…mi sembrava di essere in udienza dal Papa.
Ho suonato una Suite di De Visée, con le mani che mi tremavano e con la sgradevole sensazione di essere in una specie di trance ipnotica.
Quando ho finito Segovia mi ha graziosamente degnato di parole incoraggianti (mi sembrava davvero un re).
Alla sua morte molti si sono scagliati su di lui criticandolo come uomo e come musicista.
In USA hanno chiamato questo fenomeno “Segovia bashing”.
Quando muore un grande uomo tutte le mezze cartucce che non avevano il coraggio di criticarlo quando era in vita si scatenano, è successo con Steve Jobs, John Lennon ecc.
E' un triste tratto della debolezza umana.
Dopo la mia esibizione, un po' deluso per non aver suonato come volevo, ho chiesto a Segovia un consiglio per controllare l'emozione.
Mi ha guardato sornione e ha detto: “devi stare più lontano dalla chitarra”.
Penso di avere capito cosa intendesse dire, ma visto che la frase è un po' sibillina lascio a voi la vostra personale interpretazione.
La tecnica di Company
Riprendendo la mia storia: superato l'esame sono stato ammesso nella classe di Company nell'anno scolastico 1970-71.
Company, come consuetudine, mi ha rimesso da zero sulle basi della sua impostazione che grosso modo consisteva in:
schiena diritta, spalle rilassate, il braccio destro scaricava il suo peso sullo strumento e la mano destra doveva cadere naturalmente mantenendo il polso rilassato.
Il movimento delle dita doveva partire dalla 1° falange, la 2° falange doveva mantenere la sua normale posizione per il tocco appoggiato mentre doveva stare più angolata per il tocco volante mentre la terza falange stava rilassata, piegandosi all'indietro quando spingeva la corda.
Dopo aver suonato, il dito doveva tornare alla posizione iniziale mediante il solo rilassamento, senza partecipazione attiva.
Quindi, all'età di 21 anni mi sono ritrovato a fare esercizi sulle corde a vuoto e per abituarsi al movimento sopra descritto ci è voluta la pazienza e il controllo di un monaco Zen.
In quel tempo, mancando le comunicazioni di oggi e in mancanza totale di video, i chitarristi, nelle varie parti del mondo sviluppavano indipendentemente visioni dello strumento diverse, cosa che ha prodotto impostazioni e tecniche assai differenti e chitarristi stilisticamente molto riconoscibili.
Company, partendo dalla lezione di Segovia, che trattava la chitarra come una piccola orchestra, aveva elaborato la sua tecnica in funzione del controllo dei colori e delle sfumature timbriche e dinamiche.
Il manifesto di questa visione è la sua composizione più nota: Las Seis Cuerdas del 1963.
Notate la complessità e accuratezza della simbologia.
Il punto critico di questa tecnica era a mio parere la difficoltà, in questo clima di rilassamento generale e di cura sulle sfumature, di fare frasi staccate o aggressive in velocità (quando ci vuole…) quindi negli anni ho fatto alcune modifiche tenendo le unghie un po' più corte e sostituendo a volte il rilassamento con l'elasticità, specialmente nella terza falange, che deve saper essere anche rigida per essere efficace con il tocco volante.
Nella nostra scuola non c'era un termine per il tocco volante: questo veniva definito con una negazione (non appoggiato) e questo la dice lunga sull'importanza che veniva data al tocco appoggiato che, nella ricerca di effetti timbrici, poteva essere doppio (i e a) e addirittura triplo (i,a,p).
Comunque, malgrado i miei personali aggiustamenti, il quadro generale è rimasto lo stesso.
La visione “coloristica” della chitarra mi ha molto influenzato e tuttora penso che sia il modo migliore per tirar fuori dallo strumento le sue peculiarità e potenzialità.